3×3 chiuso semiaperto aperto

Pietro Belotti – 3x3 chiuso semiaperto aperto. Courtesy l’artista
GRAMMATICA DELL’ESPERIENZA

Varcare la soglia di EMM / Ex Maglierie Mirella durante la mostra 3×3 chiuso semiaperto aperto, di Pietro Belotti, comporta la sospensione delle proprie certezze terrestri per addentrarsi, con audacia e discussione, in una realtà ignota che sembra obbedire a logiche proprie. Non un semplice contenitore fisico, ma una grande macchina immersiva che disorienta, sovverte le coordinate conosciute e impone un ricalcolo delle misure spaziali. La mostra si configura come un dispositivo visivo capace di resettare lo spazio circostante e riorganizzarlo in una griglia di segni modulari. Questi elementi, interconnessi e mutevoli, coesistono in un sistema che genera un ambiente codificato, al contempo rigido e sfuggente. L’osservatore – o forse, inizialmente “l’utente” – è guidato dalla percezione di un movimento controllato, incanalato lungo traiettorie definite da un impianto enigmatico che si estende lungo tutta la pavimentazione.

Pietro Belotti – 3×3 chiuso semiaperto aperto. Installazione a pavimento. Courtesy l’artista

I margini essenziali della stampa digitale delimitano il fulcro dell’intero apparato visivo di Pietro Belotti: la matrice 3×3. Questa struttura modulare, con le sue infinite possibilità di configurazione, agisce come un codice generativo che guida l’interazione. Come l’algoritmo che dà forma a un programma informatico, la matrice plasma l’esperienza, tracciando regole precise e producendo configurazioni sempre nuove, aperte a diverse variazioni. Ogni movimento, spinto dall’impulso, partecipa a un processo di elaborazione continuo: la ripetizione si trasfigura in grammatica, e il modulo si erge a parola. L’intero ambiente si converte in un linguaggio visivo che, come un sistema operativo, attende di essere decifrato.
Eppure, mentre l’utente si muove, preciso nel suo comportamento, qualcosa comincia a mutare. Se si abbandona la rigidità iniziale e si permette al corpo di espandersi nello spazio fisico e mentale, accade qualcosa di profondo. L’utente si ritira e l’essere umano riemerge. Il corpo, da esecutore di regole, si libera, e il sistema, fino a quel momento una forza esterna e dominante, inizia a disgregarsi.
Nello spazio che lascia vuoto, affiora qualcosa di radicale: una potenza archetipica che richiama l’essenza originaria della natura umana. Il linguaggio, inteso come un codice ancestrale più che matematico, e che modella l’umanità dai suoi albori, si prepara a smaterializzarsi. In quel vuoto, nella distruzione delle forme, emergono i segni: frammenti di una ricerca che Belotti esplora come rinascita della nostra relazione con il linguaggio.

Pietro Belotti – Corpo (Amico Danilo) – tecnica mista su tela, 110×90 cm, 2011. Courtesy l’artista
Pietro Belotti – Dialettica polare – tecnica mista su tela, 110×90 cm, 2011. Courtesy l’artista

Nelle culture orali, la ripetizione è una strategia per preservare e tramandare il sapere. Allo stesso modo, le composizioni modulari di Pietro Belotti sembrano evocare una memoria antica, un sapere collettivo che si tramanda attraverso ritmi e pattern. Il rituale della reiterazione sfibra e svuota questi segni, lasciando emergere una dimensione più intuitiva e spirituale.

Così il format si eleva ben oltre una struttura tecnica, trasformandosi in una scrittura trascendente: una grammatica del sacro che chiede di essere indagata.

Pietro Belotti – 3×3 chiuso semiaperto aperto. Courtesy l’artista

La ricerca di Pietro Belotti è un’esplorazione profonda del linguaggio nelle sue forme più elementari e primarie. Risalendo agli albori della comunicazione umana, l’artista si interroga sulla possibilità di instaurare una modalità di linguaggio che preceda la verbalizzazione consapevole, elaborando un sistema di segni, simboli e icone  arcaico e misterioso. Colti nel loro insieme, questi segni compongono un alfabeto visivo evocativo, traducibile graficamente in composizioni di quadrati chiusi e confinati nella matrice 3×3, dalle infinite combinazioni. Simboli che richiamano linguaggi antichi, codici segreti, o forse, leggi di una dottrina aliena, afferenti a una realtà altra.
La pratica di Belotti risponde a una necessità di ritorno a una forma primordiale di espressione, un “grado zero” del linguaggio, svuotato del suo contenuto semantico. Attraverso una continua reiterazione, il segno decontestualizzato diventa una forma enigmatica che, nella sua assenza, si apre a nuove possibilità interpretative.
Se ogni mostra, nello spazio di Ex Maglierie Mirella, non è soltanto esposizione, ma un dialogo continuo tra l’artista e l’ambiente circostante, volto a creare una sintonia tale da trasformare entrambi, in 3×3 chiuso semiaperto aperto lo spazio accoglie lo spettatore in una dimensione sacra e surreale, in cui ogni elemento contribuisce a una ritualità esperienziale. Le vetrine esterne, richiamando decorazioni di un edificio sacro, si fanno portali che introducono alla mostra; la pavimentazione, rivestita da una stampa digitale su linoleum, perde la sua matericità originaria fondendosi con l’opera stessa. La moquette nera a sua volta incornicia la superficie, enfatizzando la quadrettatura e i segni che affollano lo spazio, evocando un senso di spaesamento. Il pubblico, camminando su questa superficie, interagisce con i segni modificando spesso il proprio punto di vista e generando incertezze, in un continuo gioco di interpretazioni tra il segno vuoto e il tentativo di attribuirgli un significato. Il soffitto, a sua volta, è protagonista con una proiezione luminosa che evoca la cupola di un luogo sacro. La serie di linee blu, disposte in un reticolo preciso, disegnano una “superficie cosmica” che attraversa lo spazio e amplifica l’atmosfera immersiva, evocando nell’osservatore una dimensione sospesa.

Pietro Belotti – 3×3 chiuso semiaperto aperto. Installazione a pavimento. Courtesy l’artista

Al centro di questa esperienza, quasi fosse un’offerta sacra posta su un altare, un dado in marmo, simbolo di casualità e incertezza. Nato da una riflessione sulla vita umana in assenza di gravità, il dado si colloca su un tappeto circolare grigio, richiamando l’idea di un ambiente in cui i riferimenti spaziali e temporali vengono annullati. Il sottofondo sonoro, tratto da un video originale, contribuisce a intensificare l’immersione, mentre il dado diventa simbolo di una ricerca continua e priva di una direzione definita.

Pietro Belotti – 3×3 chiuso semiaperto aperto. Scultura in marmo 20,35 kg su tappeto tondo diametro 2 mt, 2023/4. Courtesy l’artista

Il Libro delle Composizioni, un volume artigianale di grande formato, è elemento fondamentale della mostra. Realizzato con tecniche manuali e meccanismi complessi, il libro raccoglie le composizioni visive di Pietro Belotti. Ogni pagina, incorniciata dalla copertina di legno e realizzata con ossido di alluminio e cartoncino nero incollato, rende l’intero volume un oggetto monumentale e invita lo spettatore a indagare la sintesi di un pensiero visivo complesso.
3×3 chiuso semiaperto aperto si configura come un’esperienza totale, in cui ogni elemento stimola una riflessione profonda e invita il visitatore a un dialogo intimo con lo spazio. L’interazione tra corpo e ambiente è essenziale: il significato non è mai fisso, ma si trasforma e si moltiplica con ogni movimento e punto di vista. Come sostiene Pietro Belotti: «Nel mio percorso credo di aver sempre cercato un’origine, un’immagine che conduca al confine primo, al reale, alla scoperta del simbolo potenziale, ma per un momento ancora senza contenuto e privo del gesto della mano: un’impronta intenzionale di una minima particella di senso».

Giulia Moscheni

Pietro Belotti – 3×3 chiuso semiaperto aperto. Libro delle composizioni. Courtesy l’artista
DA TERRA A CIELO

Mi scontro con una razionalità apparentemente distante da me: che il mio corpo combatte assumendo posizioni di scrittura atipiche, anomale. Questa cosa ha a che fare con l’istinto e non con la consapevolezza. Non decido di combattere la razionalità ad armi pari; non programmo di sfuggirla, è il mio corpo che da solo assume una postura diversa per comprenderla. Se mi vedeste scrivere in questa posizione, ridereste di me eppure è così che la scrittura prende senso, il senso adeguato che dice ciò che il mio occhio vede.
La prima risposta la trovo in: “Composizione chiusa – corpo, materia” prima ancora di leggerla il mio corpo sa.
Parliamo di una battaglia aperta tra schematicità e caoticità: battaglia che non vedrà vincitori; ma piuttosto accordi, adattamenti, cedimenti. Il corpo in questo senso diventa il primo a comprendere spontaneamente che per scrivere di queste composizioni, deve essere lui composizione (fanno eco i compromessi, inizia lui a giocare con le moltiplicazioni).
Al richiamo di: “Composizione semiaperta orizzontale – che tende a ricevere” assume la postura di chi desidera un abbraccio.
Preoccupata da “Composizione nulla – vuoto”, confortata da “Composizione intera – pieno”, ciò che ci sta in mezzo diventa una compartecipazione alle rotte belottiane. “Composizione direzionale – sì” il corpo si apre, le spalle si allargano, pronta a ricevere; “Composizione direzionale – no” il corpo si incurva, le spalle si chiudono, pronta a rifiutare.
“Composizione di quantità – lavoro” devo scrivere, scrivere scrivere mani in attività perenne sulla tastiera a tentare di dire il visto, fiumi di parole che ruotano attorno allo schema.
“Verso il basso” scrivo per terra.
“In avanti” cammino.
“Composizione a bilancia – disequilibrio” cado.
Rintraccio il senso di calpestare i segni sparsi sul pavimento – calpestio immaginario, calpestio fisico – di abitare lo spazio assumendo forme comandate e libere al contempo. Guardo dall’alto una geografia creata maniacalmente che allo stesso tempo consente al corpo di avere le direzioni più svariate. Ho sempre la possibilità di scelta: la casualità è data dalla faccia del dado che uscirà quando lo tirerò in aria e si pianterà per terra pesante, marmoreo. Mi accorgo che il senso della riduzione ai minimi termini riguarda tutto ciò che mi circonda, a partire dal corpo che abito, passando per lo spazio che occupo; l’impressione che queste siano in fondo tutte le forme, che scomporre e ridurre serve a posizionarsi e che posizionarsi aiuti a comprendere, cosa? Tutto.
“Composizione a bilancia – equilibrio” mi rialzo e detto il senso degli accordi, adattamenti, cedimenti.
“Composizione verticale – da terra a cielo” guardo il soffitto ed è al cosmo che anelo. Guardo stelle imbrigliate in una griglia, o una griglia fatta di stelle, schematicità e caoticità hanno fatto un patto: e io lo firmo. (Che si chiami firmamento è solo un caso?).

Francesca Greco

Pietro Belotti (1966) vive e lavora a Bergamo. La sua ricerca esplora il linguaggio e la comunicazione attraverso una varietà di tecniche, tra cui fotografia, disegno, scultura, installazione e video. Le sue opere indagano il significato dei segni e dei simboli, il momento primordiale della comunicazione e il rapporto tra percezione, forma e contenuto. Finalista del Premio Arte Laguna Prize 2017 (Venezia), ha esposto in diverse mostre come Oggetto libro all’ADI Design Museum di Milano (2021), Dove vado quando dormo a Chippendale Studio Milano (2020) e in collettive come Dummy PhotoBook (Galleria Ceribelli, Bergamo) nel 2017 e Centrale Festival (Fano) nel 2021. Ha ottenuto riconoscimenti prestigiosi come la selezione al Premio per la Fotografia Contemporanea Francesco Fabbri (2017).

LA MOSTRA

3×3 chiuso semiaperto aperto, di Pietro Belotti
a cura di Giulia Moscheni e Francesca Greco
EMM / Ex Maglierie Mirella, Milano
30 gennaio – 28 febbraio 2025

Il sito di Pietro Belotti