Ho ascoltato Ryuichi Sakamoto, per la prima volta, tra il 1990 e il 1991. Avevo 23 anni e, all’epoca, mi nutrivo quasi esclusivamente di Monteverdi, Bach, Händel, Mozart e dintorni. L’occasione fu la proiezione del film Il tè nel deserto, di Bernardo Bertolucci, per cui il compositore giapponese aveva scritto la colonna sonora. L’impressione fu intensa. Il tema principale, The Sheltering Sky Theme, era emozionante, in un minore piangente, un potente impianto di archi, intessuto di percussioni delicate, si dipanava in un succedersi ossessivo di soluzioni armoniche in chiaro-scuro. La colonna sonora, come uno scrigno, si schiudeva progressivamente, evocando il tema del viaggio, il mondo arabo, lo scenario sublime del Sahara, ma anche il paesaggio interiore, dolente, quasi angoscioso, dei due protagonisti, alla ricerca di un nuovo slancio per rivitalizzare una relazione in difficoltà, destinata comunque a spegnersi. Rimasi colpito dalla capacità del compositore di creare legami, associazioni tra immagini e suoni che generavano sintesi immaginative ineludibili, passando dall’esotismo erotico delle prime scene, cariche di attesa e desiderio, al trattamento doloroso del ‘leitmotiv’ in On the Bed (Dream), in cui le soluzioni dissonanti riuscivano a trasmettere un senso di fatalità e disperazione, che sembrava invadere tutto il film.
L’anno scorso, un nuovo incontro con Sakamoto, attraverso una visione all’ultimo momento, ‘afferrata per la coda’, in streaming, di TIME, nell’ambito dell’Holland Festival 2021, ha riacceso il mio interesse per la poetica del compositore. Il clima di questa rappresentazione, creata da Sakamoto e dal ballerino sperimentale Min Tanaka, si offre al pubblico come una fusione di suoni, musica, danza, teatro tradizionale giapponese, installazione, e pone al centro il tema della rete di relazioni reciproche che l’immaginazione produce sul materiale sonoro e visivo, che il compositore utilizza per dare vita alla propria creazione artistica. L’ambiente è quello del sogno, in cui i legami con la realtà sono labili e facilmente orientabili all’interpretazione. La scelta sembra suggerire l’intenzione di ‘neutralizzare’ le posizioni d’essere, per aprire spazi a nuovi significati, meno vincolati ai collegamenti necessari dello stato di veglia.
Holland Festival 2021 – TIME, Ryuichi Sakamoto + Shiro Takatani
La storia prende le mosse da un racconto di Soseki Natsume. È la narrazione di un sogno. Un uomo dialoga con una donna morente. La conversazione è surreale, contrassegnata dalla ricerca di simbolismi e dispositivi linguistici che portano lontano dai significati convenzionali del quotidiano. La donna promette all’uomo che tornerà dopo cento anni, se lui la seppellirà e saprà attenderla. L’uomo teme di essere stato ingannato, ma quando, dal terreno, spunta un giglio bianco, l’uomo capisce che cento anni sono trascorsi.
La rappresentazione visiva del racconto è molto forte, subito coinvolgente. Una figura femminile è sdraiata su una piattaforma, a ‘sfioro’, su una superficie liquida in cui cadono gocce, turbando lievemente il placido specchio d’acqua. La donna è immobile. Sembra morta. Un uomo, accanto a lei, racconta il proprio sogno. Le gocce continuano a cadere e percussioni producono il suono del loro impatto sull’acqua. Non sono rumori di gocce. Non c’è imitazione, ma intento espressivo. Può essere una leggera pioggia e, allo stesso tempo, lo scandire di un metronomo che cambia continuamente ritmo, in modo autonomo, come la dimensione temporale dei sogni, che può assumere differenti ‘curvature’, in cui un’eternità può durare un battito di ciglia e l’episodio di un istante può prolungarsi per infinite ere. Tutta la rappresentazione si pone come un tentativo di liberazione dal tempo organizzato, quello condizionante, che costringe uomo e musica in uno schema-trappola, in cui l’essere umano è separato dalla natura e perde la sua condizione esistenziale d’origine. Anche in questo caso, la musica, la danza e le immagini favoriscono sintesi immaginative, reti che creano relazioni di senso, simbolismi inediti. Ponendo TIME a confronto con altre forme espressive sperimentate da Sakamoto, come le colonne sonore, si può ipotizzare il tentativo di lavorare con oggetti più semplici, con un materiale più rarefatto, in un certo senso ancor più granulare rispetto alla musica organizzata e al lungometraggio. Sono semplici suoni o successioni di stimoli sonori, immagini, gesti pressoché impercettibili che si connettono, indicando allo spettatore una direzione di senso, conferendogli un determinato ‘spin’ esegetico, aprendo spazi per valorizzare ciò che si sta udendo e osservando.
Holland Festival 2021 – TIME, Ryuichi Sakamoto + Shiro Takatani
Si può generare così, in modo quasi spontaneo, un nuovo livello di apprensione empirica che per uno come me, nato, cresciuto e costantemente affondato nella cultura occidentale, può essere, forse, compreso solo in parte. TIME sembra proporre una forma differente di contatto con l’esperienza, in grado di mettere tra parentesi o, addirittura, sospendere il tempo, per accedere a un più profondo livello di conoscenza, che si manifesta nel ‘qui e ora’. Questo proposito è sottolineato dalle parole stesse del compositore: «Pensare ai sogni è molto utile per rompere con la nostra normale concezione del tempo. Cerco di creare musica basata su un’idea diversa del tempo o anche senza l’idea del tempo». Tuttavia, la finalità di immergere lo spettatore in una dimensione a-temporale sembra implicitamente intuibile già a partire dai brani stessi, dall’uso degli strumenti musicali, dai gesti di danza e dalla forma teatrale scelta. Lo spettacolo, ispirandosi al teatro giapponese e in particolare ai drammi Mugen del teatro Noh, che mette in relazione l’aspetto onirico e il sovrannaturale con il buddismo e la spiritualità giapponese, induce l’osservatore a considerare TIME come una sequenza di pratiche meditative in cui l’unica dimensione temporale è il continuo presente, l’assenza di tempo o l’eternità.
Seguendo il flusso di queste considerazioni, non stupisce che la riflessione sul tempo, nella sperimentazione di Sakamoto, esplori, contemporaneamente, la relazione tra l’essere umano e la natura. Due figure assumono un ulteriore ruolo, di carattere più spiccatamente simbolico. Il ballerino Min Tanaka rappresenta l’umanità, mentre la suonatrice di shō – tradizionale strumento aerofono di bambù, che assomiglia a un piccolo organo a canne – è la natura. Insieme interpretano il rapporto inscindibile tra movimento e musica.
In questo modo, Sakamoto invita lo spettatore a fantasticare su un universo fatto di immagini sognate e suoni liberati dalla determinazione temporale – aspetti immaginativamente fusi e vicendevolmente significanti –, in cui traccia il suo personale percorso per leggere il senso della vita umana: «Viviamo e moriamo. E dopo la morte, il nostro corpo diventa parte del prossimo essere. Questo è il samsara stesso, il cerchio vitale della vita sulla terra. Nei sogni, quelle strutture temporali non sono lineari. Tutto è condensato».
Il sito di Ryuichi Sakamoto
Il sito dell’Holland Festival