Tempo lungo

© Cristina Cusani, Quando la neve 03, Napoli + Roma 2017, dittico. Courtesy Red Lab Gallery e autrice.

«Il passato ritorna soltanto quando il presente scorre così liscio
da parere la superficie mobile di un fiume profondo.»
(Virginia Woolf, Immagini del passato, 1939-40)

Passato, presente, futuro. La scansione del tempo cronologico parrebbe essere lineare: c’è un punto di partenza che sta dietro, uno in cui si è qui e ora e un altro che si trova oltre. Il tempo cronologico attraversa i punti di questa linea immaginaria ove tutto appare semplice e logico. Eppure nel suo scorrere qualcosa cambia, poco o nulla è altrettanto semplice o logico. Per sentire il presente questo deve essere liscio, abituale. Ogni variazione dall’abitudine pone l’individuo in uno stato d’animo al di fuori del punto che, sulla linea del tempo, indica il presente. Potremmo quindi dire che il presente, quando non scorre liscio, esiste in assenza di tempo. Il ‘qui e ora’ è qualcosa di sospeso, indipendente dagli eventi che deviano dal percorso che il tempo compie incedendo senza sosta.
È famosa un’affermazione di Sant’Agostino, contenuta nelle Confessioni, in cui egli sostiene di sapere cos’è il tempo quando nessuno glielo chiede ma di non saperlo spiegare se qualcuno glielo chiede. Possono venirci in aiuto, in tale spiegazione, gli antichi greci che non a caso usavano diversi termini per descrivere le varie facce del tempo: chronos, quello più comune, il tempo sequenziale in termini quantitativi; kairos il tempo in cui accade qualcosa, un tempo di natura qualitativa; aion il tempo assoluto, eterno e immobile, in cui risiede la forza vitale, il tempo divino e, infine, il meno noto eniautos un periodo di tempo fisso e definito, in origine un anno. Sulla linea del tempo chronos, si innestano inevitabilmente il tempo kairos ma anche il tempo aion o quello eniautos. I livelli del tempo convivono chiaramente nel medesimo istante, questo non vuol dire che siamo in grado di riconoscerli tutti altrettanto chiaramente.

© Ada Anselmi, Pianté. Courtesy dell’autrice.

E in effetti quando ci si accorge del passaggio del tempo in tutte le sue declinazioni? Quando è avvenuto il cambiamento. Non mentre gli eventi accadono. Un esempio? Il nostro volto cambia nel corso del tempo, questo lo sappiamo a priori, ma non ce ne accorgiamo fino a quando il cambiamento non è avvenuto. Dunque, con qualche grado di azzardo, si può affermare che “non viviamo il cambiamento”. L’evento esperienziale imprime al concetto di tempo una valenza altamente soggettiva, valenza che mostra un cambiamento qualitativamente diverso per ognuno, di cui ci si rende conto soltanto a posteriori, cioè nel futuro. Il tempo oggettivo, viceversa, è una variabile che serve a descrivere il mondo che ci circonda, l’accadere comune. Cinque minuti, nove mesi, due anni non sono altro che misure, quantità stabilite dall’uomo, eppure nella loro oggettività tali misure sono diverse a seconda dell’esperienza vissuta da ognuno.

© Cristina Cusani, Quando la neve 02 – This is not a loop, Roma 2007. Courtesy Red Lab Gallery e autrice.

Una legge fisica ci dice poi che da un’identica altezza un sasso cade più in fretta di una piuma. Il tempo che sasso e piuma impiegano nel cadere è oggettivamente diverso se visto come misura, ma diviene soggettivo se legato all’esperienza personale. Il tempo della caduta non è lo stesso in presenza di “corpi” diversi che svolgono la medesima azione, anche perché chi li osserva vive la propria personale esperienza di osservazione. A partire da queste riflessioni appare evidente che il tempo si relaziona con l’esperienza dello stato di attesa (di qualunque natura o durata essa sia) e che l’attesa stessa, all’interno del tempo, diventa di per sé “irrilevante” se scollegata dal senso e dalla vicinanza che ciascuno di noi attribuisce al suo contenuto. È questo il momento in cui il tempo diviene più o meno lungo; in cui cinque minuti, nove mesi, un anno sono per ognuno differenti.

© Ada Anselmi, Pianté. Courtesy dell’autrice.

Ci è più chiaro ora come il linguaggio comune e convenzionale limiti il senso, la realtà e la capacità intuitiva di valutare lo svolgersi degli eventi attorno a noi. Eventi che avvengono simultaneamente ma, al contempo, in momenti diversi. L’immagine ci aiuta a condensare i diversi stadi contestuali e complementari tra loro. Attraverso l’immagine i livelli del tempo possono agevolmente convivere e farci interagire con l’emozione, il pensiero, lo stato d’animo e finanche con la noia e l’indifferenza. L’immagine, in special modo quella fotografica,  non è condizione del presente, del qui e ora ma sempre del passato che inevitabilmente è memoria. Appare evidente quindi che la memoria è quanto di più vicino possiamo immaginare all’idea di rappresentazione del tempo. L’attesa di chi vive il presente nutrendosi della memoria rimane comunque sospesa, in assenza di tempo, o si prolunga in un tempo più o meno lungo.

Su questa misura decisamente soggettiva si confrontano i lavori Piantè di Ada Anselmi e Quando la neve di Cristina Cusani, presentati nella mostra Tempo lungo in corso presso lo Spazio BFT di Piacenza. Nei rispettivi lavori Anselmi e Cusani affrontano, da punti di vista diversi e personali, il proprio rapporto con il passare del tempo. Accomuna le due visioni il senso di attesa che per ognuna assume una valenza qualitativa precisa (il tempo kairos) in relazione al particolare evento che le ha indotte a realizzare i due lavori in un arco di tempo altrettanto preciso (il tempo eniautos). Ma non è evidentemente l’esperienza in sé che interessa qui prendere in esame quanto la riflessione che entrambe le autrici hanno intrapreso sul senso dell’attesa all’interno dell’ordine del tempo.


© Ada Anselmi, Pianté. Courtesy dell’autrice.

Per Ada Anselmi l’esperienza del presente/attesa si manifesta nella relazione con il luogo naturale attorno alla sua casa di campagna. In Piantè l’autrice pone in atto senza quasi accorgersene una osservazione delicata della natura e degli spazi personali che, a causa di un evento imprevisto, vengono visitati in una dimensione più acuta e riflessiva rispetto alla “normalità”, come fossero amplificati dal passare di un tempo vissuto in una condizione inerte ma non passiva. L’andamento narrativo del lavoro mostra con evidenza le direttrici temporali di cui abbiamo parlato. Un primo livello interpretativo, più evidente, si focalizza sul ciclo naturale delle stagioni, il tempo chronos si srotola liscio e abitudinario quanto può esserlo il susseguirsi degli eventi atmosferici legati a ciascun periodo dell’anno. All’interno di questo tempo, che procede secondo una propria abitudinaria lunghezza, si innesca la qualità dell’osservazione – il tempo kairos – che ci costringe a notare una sfumatura interpretativa diversa, legata all’accadere che l’autrice ritrae nelle sue immagini: movimenti impercettibili di quel cambiamento che non appare se non successivamente, come emergendo da un passato tanto prossimo quanto remoto. Questo livello visivo, se vissuto in assenza di pensiero sovrastrutturale, declina in un ulteriore passaggio legato al senso di infinito – il tempo aion – dove scompare ogni possibilità di appiglio descrittivo che possa ricondurci alla superficie, situando il nostro sguardo in quel fiume profondo che è il passato. Tutto ciò accade in un periodo preciso, con un inizio e una fine – il tempo eniautos – che diviene circolare, autorigenerante.


© Ada Anselmi, Pianté. Courtesy dell’autrice.

© Cristina Cusani, Quando la neve 04, Napoli 2020. Courtesy Red Lab Gallery e autrice.

Analogamente Cristina Cusani in Quando la neve affronta un percorso simile che si innesta su una narrazione differente, generata anche in questo caso da un evento non previsto. Qui non solo vediamo la declinazione dei quattro flussi del tempo ma troviamo anche l’intrecciarsi di immagini eteree, come fossero frutto di un mondo invisibile, a immagini reali che appartengono alla verità della vita. Qualsiasi arte ha l’obbligo di trasportare lo spettatore oltre il limite del visibile, dei colori, delle parole in altri termini di ciò che è percepibile sensibilmente. Lo scopo dell’arte è quello di condurre chi la fruisce in una determinata realtà non rappresentata ma espressa per ciò che è: l’opera deve essere se stessa e non il simbolo di qualcosa. In questo senso le immagini di Cristina Cusani qui presentate pongono l’osservatore faccia a faccia con “lei”, l’opera, che si denuda di ogni orpello interpretativo o sovrastruttura di pensiero simbolico per essere semplicemente ciò che è: una traccia lieve e al contempo profonda della verità. Ritroviamo anche qui l’intrecciarsi del tempo chronos, liscio e lineare nel suo trascorrere abitudinario, con il tempo aion eterno, assoluto e immobile ma nel quale alberga la forza vitale, quella forza che si manifesta nonostante tutto, che esiste per se stessa. Le immagini del lavoro di Cusani ci mostrano quella superficie del fiume calmo che vediamo scorre sotto i nostri occhi ma della cui anima profonda non ci rendiamo conto e quando accade l’inaspettato, e soltanto allora, capiamo la reale dimensione di ciò che è cambiato, di ciò che è accaduto. Capiamo che il nostro ‘qui e ora’ è stato affidato alla profondità del passato rendendoci pronti ad affrontare un’altra parte di vita.


© Cristina Cusani, Quando la neve 16, Napoli 2020. Courtesy Red Lab Gallery e autrice.

LA MOSTRA

Tempo lungo, Ada Anselmi | Cristina Cusani, a cura di Giovanna Gammarota
Dall’11 febbraio al 17 marzo 2023
Spazio BFT Piacenza
info@collettivotiff.it
info@redlabgallery.com