Il cinema di Mia Hansen Løve è permeato da un sentimento di fiducia nel domani che, quasi impercettibilmente, accompagna la quotidianità – spesso dolorosa – dei personaggi che popolano i suoi film. Non si tratta di un ottimismo forzoso, dozzinale e irritante, disancorato dalla realtà; bensì di una pulsione sottocutanea che emerge con naturalezza, dopo aver seguito il mutare degli eventi nel corso del tempo.
Lo scorrere del tempo è, infatti, un tema che caratterizza le opere di questa giovane autrice; storie spesso incentrate su figure di donne – d’età diverse – le quali si trovano ad affrontare situazioni d’impasse che solo attraverso “i giorni che verranno” (per parafrasare il titolo italiano di L’avenir, 2016, con Isabelle Huppert nel ruolo di un’insegnante che si trova ad affrontare le conseguenze di un’inaspettata separazione) troveranno quello spiraglio di luce, attraverso il quale attuare una ripartenza nelle loro vite. Si tratta, a seconda delle vicende, di periodi di varia durata, anche porzioni di esistenza piuttosto lunghi e costituiti da un’alternanza di afflizione e serenità: come nel film Un amore di gioventù (Un Amour de jeunesse, del 2011), racconto di formazione che trova in Truffaut il principale modello di riferimento, in cui si narra la drammatica ossessione amorosa di un’adolescente, (interpretata da Lola Créton, attrice dal volto austero, si potrebbe dire “bressoniano”), che solo il fluire del tempo attenuerà; anche se in maniera discontinua, per ragioni dovute al “caso” o semplicemente all’imprevedibile corso della vita stessa, dove le briglie del controllo scivolano via proprio quando sembrano ormai saldamente impugnate.
Un beau matin, invece, è la storia di Sandra: giovane vedova che deve occuparsi della figlia di otto anni Linn e dell’amato padre Georg, anziano docente di filosofia affetto da una grave patologia neurodegenerativa e, pertanto, sballottato da una clinica all’altra. Nonostante le difficoltà, alla donna non manca il supporto della madre Françoise, sebbene divorziata da Georg e legata sentimentalmente a un altro uomo. Persona energica e oltremodo espansiva, Françoise rappresenta l’esatto opposto della figlia (e per questo, forse, si presenta anche come figura parzialmente ingombrante): ragazza introversa ed esclusivamente concentrata sui propri doveri lavorativi e famigliari.
Un giorno Sandra incontra Clément, un vecchio amico sposato e anch’egli con un bambino. Tra i due nasce rapidamente un’irresistibile passione amorosa (forse “in pectore” da tempo, almeno per quanto riguarda lui) che però si rivela fin da subito instabile, a causa dei sensi di colpa che Clément prova verso moglie e figlio. Questo improvviso scompiglio sentimentale, genererà anche una destabilizzazione nella quotidianità metodica e organizzata di Sandra. La vicenda si dipana nell’arco di un anno; segmento temporale che la regista restituisce con partecipato pudore, non oltrepassando quella soglia di distanza oltre la quale si rischierebbe di inscenare una sorta di “pornografia dei sentimenti”.
Certo, vi sono scene di sesso esibite, discussioni intense – seppur prive di melodrammatica isteria – tra i due amanti; ma è sulla rappresentazione del dolore nel suo complesso che Mia Hansen Løve fa un passo indietro. In questo aspetto risiede la qualità principale del film, anche se conforme a una tradizione cinematografica tipicamente francese: un dramma, o una commedia della vita, raccontato sottovoce, mantenendosi sempre in equilibrio sulla modulazione delle tonalità. La sofferenza della protagonista (una sempre più versatile e mutevole Lola Créton) si esprime attraverso i suoi silenzi, i suoi sguardi che comunicano l’angoscia della perdita: quella del compagno – lutto sul quale la regista non indaga, collocandolo come backstory (seppur importante dispositivo della vicenda); quella già in atto dell’amato padre; quella di un improvviso amore che, in modo rapsodico, le restituisce la sensazione che la propria vita possa ancora appartenerle. L’unica esternazione della propria tristezza, Sandra se la concede su un autobus quasi deserto, rincasando la sera dopo un’altra lunga giornata; la testa appoggiata al finestrino e una lacrima che scivola quasi abusivamente lungo il volto. Una delle scene più toccanti del film, dove la camera si “permette” di indugiare sul primo piano affranto della protagonista, evidenziandone uno sprazzo di contegnosa fragilità; attimo di abbandono che si manifesta su un mezzo pubblico, come se, paradossalmente, fosse l’unico spazio privato che le sia concesso.
Il film scivola lento tra i mesi e le stagioni, da un’estate all’altra. Le cose procedono apparentemente allo stesso modo: le visite di Sandra al padre in clinica, la relazione intermittente ma irrinunciabile tra lei e Clément, il rapporto con la figlia e il resto di una famiglia sparpagliata ma al contempo unita. A scandire questo incessante periodo di transizione, è lo svuotamento progressivo della casa di Georg; in modo particolare della sua immensa biblioteca (parzialmente donata agli ex allievi). Lo spazio che si svuota della propria essenza, emblema di una vita che lentamente va dissolvendosi nell’indifferente regolarità del tempo che consuma i giorni, diventa anche il segno tangibile di un graduale cambiamento nella vita degli altri personaggi. Ed è tramite un’ellissi sul finale del film che verrà tratteggiata questa variazione di passo; soltanto qualche istante prima che il tempo del film – della narrazione, quindi – si esaurisca, l’autrice manifesterà più apertamente la propria fiducia nel domani, il suo sguardo speranzoso su un presente che potrebbe diventare l’abbrivio di un futuro diverso. Un nuovo giorno auspicabile, di cui noi avremo soltanto qualche indizio, senza averne la conferma. La proiezione sull’avvenire passerà attraverso lo sguardo di Sandra, Linn e Clément, intenti a scrutare un panorama sempre identico a sé stesso ma che, inaspettatamente, si trasformerà in una prospettiva rinnovata. Quest’improvvisa mutazione di visuale, l’osservazione di un medesimo spazio con occhi diversi – o solo più attenti – suggeriranno l’ipotesi di una possibile ripartenza.
Insomma, delle cose che verranno.