Cronache dal post-cinema / 2. Luoghi, memoria, futuro

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Apro gli occhi e non vedo niente: niente finestre, niente porte.
Ricordo che è accaduta una disgrazia e che tutti fuggivano per mettersi in salvo,
ognuno come poteva. Quanto a me, non ricordo.
(Aleksandr Sokurov, L’arca russa, 2002)

Il film che ho davanti rimane ancora un mistero.
(Bernardo Bertolucci)

Tra vecchie e nuove costellazioni, nella galassia mediatica in cui fluttua il cinema contemporaneo, il saggio di Casetti del 2015, richiamato nella prima parte di questo contributo, ricercava le tracce di una inguaribile nostalgia per lo spazio rituale della passione cinematografica: la sala. Non senza enfasi, lo studioso evocava un ‘ritorno alla madrepatria’: “luogo fisico e insieme simbolico, la sala è quella dimora che il cinema e il suo spettatore continuano a cercare”.

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Un intermittente esilio (“a volte tornano”, anche all’alba)

Ma di quale dimora – per quale cinema, e per quali spettatori – stiamo parlando? La domanda ha una valenza globale, anche se le risposte vanno declinate su base nazionale. E dunque: in quali condizioni si trova oggi il cinema italiano? Dopo il primo e secondo lockdown del 2020 (che avevano portato via tre quarti del pubblico e degli incassi), dall’inizio dell’anno le sue porte sono rimaste chiuse per quattro lunghi mesi. Le perdite accumulate ammontano a circa un miliardo di euro. Le cronache ne hanno dato tristemente conto, tra chiusure annunciate, e in alcuni casi reali, di luoghi storici e simbolici della passione filmica. Le filiere appaiono logorate, sul piano economico e su quello psicologico. Ma se quella produttiva sta provando a ripartire, quella distributiva (e soprattutto l’esercizio, le sale appunto) ha vissuto per mesi una sorta di psicodramma, tra paradossi normativi, ristori scarsi e diseguali, appelli, iniziative e flashmob seguiti da silenzi assordanti. Oltre al danno, la beffa delle ripartenze annunciate, sino a quella del 26 aprile scorso che però ha interessato meno del 10% delle sale italiane, per lo più tra quelle indipendenti. Il Cinema Beltrade di Milano ha sicuramente compiuto il gesto più coraggioso e mediaticamente vincente, accendendo il suo unico ma rutilante schermo già all’alba del 26 aprile, con un centinaio di appassionati ordinatamente in fila, emozionati e commossi. Dal canto loro, i grandi circuiti commerciali (che di norma hanno beneficiato di ristori e cassa integrazione) sembra abbiano scelto di tenere chiuso, almeno sino alla metà di maggio, in attesa degli eventi. Altri, come la Filmauro di De Laurentiis, stipulano accordi di esclusiva streaming con le piattaforme (nel caso Amazon Prime) anche per film potenzialmente di grande appeal per il pubblico, come l’ultima commedia di Carlo Verdone. Una riapertura generalizzata sembra più probabile solo dopo la Mostra di Venezia di inizio settembre, e un impulso decisivo potrebbe venire dalle arene estive. Virus e varianti varie permettendo, certo. Ma anche a patto che non si ripeta quanto accaduto l’estate scorsa a Roma, quando le associazioni dei distributori e le catene di multiplex negarono i film agli organizzatori dell’associazione Piccolo America (che pure pagava salati noleggi per film anche di vecchia data) accusandoli di fare ‘concorrenza sleale’ perché non facevano pagare il biglietto (una loro scelta etica in quanto destinatari di risorse pubbliche).

Lontano dalle sale, con poche e flebili voci che giungevano dal mondo della cultura e da parte degli addetti ai lavori, il mood prevalente degli spettatori oscillava tra la progressiva assuefazione alla visione su piccoli schermi e la consapevolezza di nuovi bisogni e di nuove pratiche, da sperimentare anche in maniera creativa. Abbiamo già ricordato, del resto, come molte dinamiche di scenario siano di lunga data e come la pandemia le abbia solo rivelate ai più e con più evidenza.  Per esempio, il consumo casalingo in streaming di cinema e ancor di più di serie tv e altri prodotti dell’infotainment, cresciuto notevolmente durante il lockdown del 2020, era già un modello consolidato di consumo e, da almeno dieci anni, la norma per le generazioni più giovani. La chiusura dentro le case ha solo reso il fenomeno più diffuso e socialmente trasversale rispetto a età, abitudini e gusti cinematografici.

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Per il consumatore abituale di cinema, notoriamente un “essere sociale”, si profila dunque una mutazione – potremmo dire antropologica – irreversibile? Le sue spiccate competenze di tipo relazionale – da sempre nutrite del dialogo con la comunità degli altri spettatori, estranei accomunati da una passione – finiranno per atrofizzarsi o riusciranno a integrarsi con nuove conoscenze e competenze, più che da cine-dreamers  da media users digitali? D’altro canto, le esigenze di informazione e orientamento restano di fondamentale importanza, e più che mai in una fase come l’attuale che vede, da un lato, i contenuti e i contenitori  fagocitare, oltre che la nostra attenzione, gli aspetti della forma e dello stile (come se, parlando di linguaggio cinematografico, se ne potesse prescindere) e, dall’altro, crescere senza sosta la disponibilità e l’accessibilità – everywhere, everytime  – dei materiali filmici e in generale audiovisivi. A questo si legano anche le profonde trasformazioni che sta vivendo, su un piano culturale, generazionale, operativo, quella che un tempo era definita, ponendosi a volte in una dimensione corporativa, la critica cinematografica (oggi quasi assente dai quotidiani e orfana di gloriose testate cartacee specializzate). La si ritrova nella rete, in una molteplicità di forme e di attori – studiosi, curatori di festival, programmatori delle piattaforme, critici dal diverso background, blogger e influencer vari – che esercitano competenze diverse – tra cui quella della scrittura appare sempre meno preminente – ma non per questo meno raffinate e sicuramente complesse, basti pensare ai video-saggi.

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La guerra dei mondi (sale vs piattaforme)

La pandemia ha squarciato il velo dell’illusione su quel “ritorno alla madrepatria”. Nel dibattito, è tornato centrale il conflitto tra la sala e le piattaforme streaming, sempre più attive come produttori di cinema su scala mondiale. La querelle, che si trascinava già da anni, sarebbe esplosa nel 2017 e ancor più nel 2018, con la guerra aperta tra Netflix e il Festival di Cannes.

In un suo recente saggio dedicato a Fellini e all’eredità del cinema classico, Martin Scorsese ha dato un giudizio molto netto affermando che le piattaforme “hanno sorpassato (overtook) l’esperienza dell’andare al cinema, così come Amazon ha sorpassato i negozi reali” . Forse sui negozi Scorsese ha ragione. Ma è proprio vero che le piattaforme streaming cannibalizzano i consumi del cinema fruito in sala? Appena due-tre anni fa, la risposta era semplice: no. Da una ricerca commissionata nel 2018 alla Ernst & Young dalla National Association of Theatre Owners (NATO) era emerso infatti che streaming e sala anziché escludersi l’un l’altra si alimentavano a vicenda e questo valeva per tutte le fasce di età, comprese quelle più giovani. Ma, anche in questo caso, la pandemia segna un prima e un dopo. A fine 2020 sarebbe arrivata la notizia che decretava la fine di una lunga battaglia e la vittoria delle piattaforme: un colosso produttivo come Warner Bros. aveva deciso di proiettare i suoi film in uscita nel 2021, quasi tutti costosi blockbuster, contemporaneamente in sala e in streaming (sulla piattaforma di sua proprietà HBO Max).

L’opposizione tra sala e streaming resta peraltro, per ragioni contingenti ma soprattutto strutturali, priva di fondamento. In Italia, a giugno 2020, a frenare il ritorno del pubblico (in un momento davvero poco felice della stagione) era stata in primo luogo la paura del contagio, ma anche (per il 34,5% del campione), la chiusura del proprio cinema di riferimento. Occorre poi pensare che solo una piccola percentuale dei film prodotti arriva in sala, per la stragrande maggioranza quelli di maggior richiamo commerciale, decisivi per la filiera. Probabilmente – scenario decisamente inquietante – sarà questa l’unica tipologia di film che continuerà a uscire nei circuiti multiplex e multisale (che in Italia avevano raggiunto una quota dei due terzi del mercato). Chi salverà dunque il “cinema d’autore” e indipendente? Nella lenta ma perdurante crisi della mono-sala commerciale, resta da sperare nella resistenza delle sale indipendenti: non solo i cosiddetti cinema d’essai, ma anche le tante sale nate (o trasformate) in questi anni come luoghi multifunzionali, pronti ad accogliere pubblici e linguaggi artistici differenti e altre presenze commerciali (bar, bistrò, librerie, ecc.). Un modello culturale e sociale profondamente diverso, ma di fatto economicamente debole sul mercato (nonostante goda a volte di sostegni pubblici, peraltro sempre incerti). La pandemia ne ha messo a nudo tutta la precarietà o, tout court, la non sostenibilità.

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Se le piattaforme aiutano il cinema d’autore 

Ma è possibile trovare tanto cinema d’autore anche nei cataloghi delle piattaforme. Quelle globali, che quando lo producono lo promuovono senza badare a spese, ma se lo acquistano lo mettono di norma “a scaffale”, senza preoccuparsi di valorizzarlo. Per fortuna, sul web sono nati servizi di “ricerca e orientamento” indipendenti (gestiti da esperti appassionati, immaginiamo senza fini di lucro) che aiutano a scoprire, “invisibili” sotto i tanti strati di quelle più commerciali, preziose proposte di film premiati nei festival del mondo (come nel caso della pagina Facebook “Netflix Festival” e della omologa “Amazon Festival” per Prime Video). Un discorso a parte meritano le piattaforme internazionali dedicate al cinema d’autore e di qualità come le americane MUBI (disponibile in 190 paesi, con oltre 10 milioni di abbonati in tutto il mondo) e Criterion Channel, ma anche Tenk, piattaforma di origine francese interamente dedicata al “cinema del reale”, o l’italiana Streeen (solo per citarne alcune).

Ritorna qui l’importanza della “curatela” di cui parlava anche Scorsese nel suo saggio in opposizione alle oscure, o sin troppo chiare, logiche degli algoritmi (e della “offensiva” sciatteria informativa che connota le piattaforme globali). Una istanza che rimanda a quanto sta accadendo, anche da noi, nel mondo dei festival cinematografici, costretti, per la maggior parte, a partire dalla tarda primavera scorsa, a spostarsi on line (compresi alcuni di grosso richiamo, con l’eccezione della Mostra di Venezia). La piattaforma italiana generalista che per prima li ha accolti in questa difficile transizione è stata Mymovies.it. Dal primo, timoroso esperimento, nel giugno 2020, con il Biografilm Festival di Bologna (offerto gratuitamente), sono oltre 100 i Festival, grandi e piccoli, più o meno ricchi di storia, transitati, sino a fine febbraio 2021, sulla piattaforma, con formule diversificate di pagamento (e in alcuni casi anche free). Le cifre – circa mezzo milione di ore di visione e mezzo milione di euro di incassi, molto più di quanto i festival avrebbero riscosso in presenza – confermano un aumento del pubblico interessato a prodotti autoriali. Sono dati che, letti insieme alla contestuale nascita di nuovi canali – piattaforme di contenuti e servizi informativi lanciati da singoli festival o case di distribuzione (sempre con la partnership tecnica di Mymovies.it) – testimonierebbero di una tipica dinamica “win-win”.

Il dibattito che finalmente si sta sviluppando su questi temi, grazie anche a recenti ricerche dedicate (tra cui la più recente a cura dell’AFIC), descrive una realtà assai più complessa. Secondo gli analisti, anche nello scenario auspicato di un prossimo ritorno del pubblico in sala, la domanda di cinema (e di festival) on line aumenterà comunque. Si parla di un futuro “ibrido” dei festival, e forse del cinema in generale, con un mix variabile di presenza e on line. La vera incognita restano i rapporti tra produttori e distributori tradizionali e il mondo virtuale, anche in rapporto alla questione giuridico-economica dei diritti di sfruttamento delle opere. La pandemia sta cambiando paradigmi, processi, ruoli, stravolgendo il concetto stesso, lineare, di “filiera” a favore di modelli di business “reticolari”, tipici degli ecosistemi.

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Giovani cinefili continuano a crescere

Al di là dei numeri, pur importanti, resta cruciale in questa fase la ri-costruzione di una vera comunità di fruitori appassionati del linguaggio cinematografico. Anche nel nuovo scenario “ibrido” occorrerà migliorare, e di molto, l’integrazione tra mondi, media e canali diversi, ovvero in primo luogo tra le diverse piattaforme, i canali social e i territori di riferimento. Fondamentale resta qua proprio l’esperienza dei festival cinematografici che vedono da sempre uno stretto rapporto tra direttori, curatori, staff, da un lato, e istituzioni, partner e pubblici locali dall’altro. Su questi aspetti la riflessione dei soggetti più direttamente coinvolti guarda alle esperienze in corso all’estero e oltre lo specifico ambito cinematografico, con l’emergere di festival sempre più “diffusi”, nel tempo e nello spazio. I fattori vincenti riguarderanno infatti la visione strategica e le modalità operative per connettere il mondo on line con l’esterno e, al contrario, i territori reali con il mondo della rete, in un connubio virtuoso tra la “realtà virtuale” e le logiche della “realtà aumentata”: è questa, del resto, la capacità del cinema (pandemia o non pandemia) di realizzare ipertopie, come Francesco Casetti aveva ben spiegato già anni fa.

Proprio la diffusione dei festival on line e delle piattaforme lanciate da operatori indipendenti può incentivare la diffusione e la democratizzazione del sapere cinematografico, recuperando la funzione formativa da sempre connaturata al cinema come fenomeno sociale. È un dato di fatto che studenti e giovani cinefili possono oggi partecipare ai festival a costi quasi azzerati rispetto a quelli prima necessari (certo, privi della componente di incontro e contatto umano, che “non ha prezzo”), e accedere a un’offerta sempre più ampia di contenuti specialistici extra (incontri e interviste con autori, lezioni di cinema tenute da esperti, ecc.) inclusi, di solito, nell’abbonamento.

Del resto, proprio in questi mesi difficili, le nuove generazioni di studenti e giovani critici di cinema, hanno iniziato a produrre analisi avvertite e consapevoli sulla necessità di trovare nuove modalità per ricreare l’esperienza cinematografica fuori dalla sala, nel segno della condivisione. Allo scopo, sanno bene come sia centrale saper utilizzare in modo efficace e innovativo i social network e altri strumenti (da Zoom alle estensioni per Watchpartying) per ricreare occasioni di dialogo tra appassionati.

Il mistero del cinema, Bernardo Bertolucci, La Nave di Teseo, 2021

Ma occorre anche, come è stato già notato, che le generazioni più giovani siano coinvolte per mettere a disposizione (ma non gratis, o con ingaggi da stagisti…) il loro maggiore know-how tecnologico e comunicativo rispetto ai nuovi media, per favorire quei necessari processi di integrazione intermediale. Il rilancio del dialogo e della collaborazione intergenerazionale, potrebbe rivelarsi anche in questo caso decisivo per aiutare il cinema del nuovo millennio a ritrovare una sua nuova patria, fatta magari da diverse dimore, più inclusive e meno auto-referenziali. Dentro le quali conservare, magari su supporti meno fragili e precari, il “cinema che viene” (a noi, per noi) e la memoria del suo passato, quella magicamente riflessa per tanti decenni dagli schermi convessi delle sale. Evitando così, oltre all’estinzione di quegli schermi, i rischi e i limiti della “visione piatta”, anche in senso figurato, del display. Per ri-creare e rivivere insieme l’eterno mistero del cinema di cui parlava Bernardo Bertolucci nel suo ultimo scritto.

 

 

Per approfondimenti

Rivista “81⁄2. Numeri, Visioni e Prospettive del Cinema Italiano” (Istituto Luce-Cinecittà), n. 55, marzo 2021.

Ricerca “Piattaforma Festival” promossa da AFIC e realizzata con il contributo della DGCA del Ministero della Cultura in collaborazione con Atlantica e incontro  “I luoghi dei festival, domani” sul futuro dei festival cinematografici. Per dettagli e collegamenti video vedi qui.

Tra le analisi sulla crisi del cinema durante le prime ondate della pandemia da parte di giovani esponenti della critica cinematografica citiamo quelle di Arianna Vietina e di Chiara Zanini.