Un dialogo con Chiara Arturo
In La poetica della rêverie, Gaston Bachelard sosterrà che solo una causa dettata dal cuore può trasformarsi in una questione sentimentale che a sua volta diventa materia poetica o visiva. Per fare in modo che la materia si manifesti a noi in tutte le sue forme artistiche abbiamo bisogno di attraversare l’abisso della nostra esperienza umana. Un attraversamento che necessita la capacità di immergersi in profondità nella propria esperienza individuale per poi donarla all’altro in tutta la sua totalità.
Ma che cosa accade quando è lo sguardo ad intervenire? Chiara, questa è la prima domanda che mi sono posta quando, molto discretamente, mi sono permessa di entrare nel tuo lavoro, a distanza, come tutto in questo momento, ed ho provato a immergermi nelle tue immagini per imparare a vedere così come tu trasmetti le cose, delicatamente, e senza troppo disturbare.
Il tuo lavoro insegna l’attesa, l’andare piano, il soffermarsi sulle cose, insegna l’incontro con l’altro, che possa essere un essere umano o un elemento della natura, l’importante è che tutto sia sottoposto alla meraviglia. L’importante è che apra un mondo, che dia nuove possibilità di visioni o di immersioni. Un gesto artistico che mi riporta subito al Taglio di Lucio Fontana, ma non per il suo atto rivoluzionario, quanto per la possibilità trasmessa dall’artista di aprire nuovi orizzonti poetici.
Con lo stesso spirito di apertura mi sono imbattuta nel tuo lavoro Esercizi per imparare a nuotare senz’acqua. A colpirmi è stato il video Manage Apnea in cui t’imbatti in un esercizio che chiami: controllare l’apnea.
Ho pensato che in questo caso per apnea intendessi l’immersione totale nella zona della Lessinia, luogo in cui hai concepito questo lavoro, per riportarci alla luce un frammento del tuo passaggio. Un passaggio rivelatore di una nuova scoperta, quello della felce nana tropicale, che tu sei riuscita a trasformare in acqua, chiedendoti come si potesse nuotare in un luogo senza mare e riportandoci alla luce la tua personale visione dell’acqua.
Si tratta decisamente di un momento d’interruzione, di un elaborazione creativa e concettuale che permettono all’osservatore di andare oltre il dato di realtà, che lo sottopongono ad un ulteriore esercizio che io chiamerei: possibilità di vedere.
Ti chiedo, come è possibile imparare a nuotare senz’acqua? Come possiamo apprendere il senso dell’ascolto? Una pratica poco accolta in questo preciso momento storico.
Quando ho visto il video, ho capito che solo ascoltandoti potevo entrare nell’abisso e nella profondità del tuo esercizio. Un’impresa nobile da parte tua, quella di trasmetterci silenziosamente la possibilità di andare oltre il significato dell’immagine che ci proponi. Si tratta di rimettere in gioco la naturale visione delle cose, di apprezzare che il silenzio si riveli per mostrarci qualcosa di nuovo o magari di già presente, e che prima di allora non potevamo sapere perché appunto non avevamo vissuto l’esperienza.
Ma il tuo lavoro non è solo questo. Tracce, materia, superfici, mappature e costellazioni, frammenti di appunti si incontrano nella loro fluidità. Si sente l’acquaticità nel tuo lavoro, si sente che vieni dal mare e che con esso continui ad ondeggiare vicina e lontana da tutto ciò che incontri. Lo fai educatamente, dandoti delle regole o prendendo in prestito quelle di qualcun altro, come per esempio i quindici tabù pitagorici che hanno diretto la tua ricerca Disarmonie. Esercizi di Interruzione, in cui utilizzi la polaroid come processo di trasformazione istantanea della visione. Qui ti muovi in un campo sconosciuto tra la Puglia e la Basilicata, tra la scuola di Pitagora e il Mito di Giano, per infrangere le regole armoniche e matematiche del filosofo e riproponendoci delle immagini duali capaci di unire e interrompere ancora una volta lo sguardo di chi le osserva.
Ci sono le allegorie, ci sono i messaggi simbolici, le metafore, le citazioni, c’è il vagare in luoghi sconosciuti per esplorare nuove capacità di potersi raccontare. In questa erranza esiste il respiro, l’emozione, l’interpretazione… Ancora una volta ti chiedo: per quale motivo hai scelto di darti delle regole in questo secondo lavoro di cui cito? Per mantenere il respiro? Per troppo rispetto nei confronti di ciò che non conosci? Per lasciare all’immaginazione la possibilità di rivelarsi? Trovare una guida, una direzione, ha senso per te? Perché?
In fondo non tutto deve essere spiegato, e in questo trovo che i tuoi lavori, spesso frammentari riescano benissimo a rispettare il concetto della non interpretazione necessaria delle cose, così come Susan Sontag sosteneva nel suo ormai introvabile libro Contro l’Interpretazione. L’arte è un’esperienza da vivere attraverso lo sguardo di chi la propone e di chi la riceve.
Piacevolmente resto sorpresa anche dal tuo lavoro Fragmentum il quale racchiude ulteriori tracce di qualcosa che non possiamo ritrovare nella realtà, che esiste e che nuovamente si rivela a noi attraverso l’immaginazione, l’interruzione del flusso narrativo, e i frammenti fragili di piccoli pezzi di storia da ricongiungere.
Tu scrivi:
Dal bosco si può sempre uscire
Sulle isole si può sempre ritornare
Le cicatrici sono rimarginate
Gli occhi coraggiosi
I mostri restano, ma bene a fuoco
Alla bestia ho tolto la testa
Penso che allora bisogna restare in agguato, dall’immagine, dalla visione, dalla passione, dalla possibilità di poter uscire o ritornare dai luoghi, dalle cose, dalle persone…
Quale sarà il tuo prossimo viaggio?