I passi evaporati
del serpente di cristallo

© Francesco Varanini, Chiesa barocca di San Lorenzo a Potosì, Bolivia

Le opere d’arte hanno aspetti comuni. In ogni caso sono il frutto di un pensiero. L’immagine mentale trasformata in codice, fissata su un supporto. L’immagine, appunto, elaborata ad arte.
Ma poi ci sono differenze tra arte e arte, legate al mezzo espressivo. L’arte visuale pone l’immagine complessiva di fronte al fruitore, già sviluppata nella sua interezza. Altre arti offrono al fruitore uno sviluppo, una sequenza, dove il senso, si svolge sotto gli occhi del lettore passo dopo passo.
Innecessarie parole tecniche, appartenenti al bagaglio di una certa critica, ci parlano di questo svolgersi: diegesi, per esempio. Ma basta dire sviluppo narrativo. Basta dire narrazione, racconto. Rammemorando l’antica arte del cantastorie. Rammemorando l’ascolto di un brano musicale. Rammemorando il ritmo della lettura di un testo, parola dopo parola e pagina dopo pagina. E in tempi più vicini a noi lo svolgersi della narrazione cinematografica nel buio della sala, dalla prima scena a The End.

Si dice tuttavia che anche le arti sequenziali si riassumono in momenti: l’incipit, lo sviluppo, l’explicit. Ogni testo musicale ha questo sviluppo. Ma anche, in fondo, ogni testo letterario.
L’explicit è la chiusura, il saluto, la sintesi finale, potremmo anche dire: l’elaborazione del lutto implicita alla conclusione: l’autore e il fruitore, di qui in poi, non sono più insieme. Resta solo, di qui in poi, il ricordo. Ma comunque l’explicit dipende dalle precedenti parti del testo. Non esisterebbe senza di esse.
Diverso l’incipit. L’incipit può esistere anche senza sviluppo.

© Francesco Varanini, Chiesa barocca di San Lorenzo a Potosì, Bolivia

Anche le arti visive hanno incipit, inizio. Traccia dell’incipit è visibile nel quadro ad olio non terminato, nella scultura lasciata, o rimasta incompiuta. Traccia dell’incipit si trova nelle sinopie. Si può però dire che le opere d’arte visuali occultano l’incipit.
L’incipit nasce dall’immagine presente nella mente dell’artista – è passaggio tecnico immediatamente successivo. Passaggio che la tecnica stessa occulta. Non sappiamo, non c’è dato di sapere, quale è stata la prima pennellata di una pittura – non se ne trova traccia visibile nell’opera rilasciata, finita. Si può forse considerare l’incipit della fotografia il momento dello scatto. Ciò che l’autore sta vedendo in quel momento. Ma ciò che resta poi è l’immagine ormai stabilita. Potremmo forse anzi dire: una immagine dell’immagine.

Parlerò qui di incipit nella letteratura.
Opere d’arte inarrivabili sono gli incipit dei romanzi di Flaubert. Perfetti nella misura, racchiudono già in sé il senso dell’intera opera, la sua atmosfera, il suo fascino, i possibili diversi sviluppi narrativi. Ma allo stesso tempo ci appaiono come preludi: c’è ancora qualcosa, anzi molto, da dire.
L’incipit è il frammento che misteriosamente contiene l’opera intera. Eppure l’incipit vale di per sé, è un’opera d’arte in sé.
Ma non è di questo che mi piace dirvi qui. Non un romanzo, ma una poesia. I due versi iniziali di un’ode di Góngora.

En roscas de cristal serpiente breve,
por la arena desnuda el Luco yerra,1

Luis de Góngora y Argote in un ritratto di Diego Velázquez, 1622
Il barocco da  Góngora a Lezama Lima

Spagna agli albori del 1600. Un regno divenuto impero, reso prospero dalle miniere americane. L’argento di Potosí, soprattutto. Luis de Góngora y Argote, chierico senza vocazione religiosa, vive della protezione di mecenati, le sue poesie non sono pubblicate a stampa da lui stesso, ma circolano  raccolte, antologie.
Ha quasi cinquant’anni quando, nel 1610, scrive l’ode De la toma de Larache.2 Fino ad allora le sue opere rispettano i canoni più comuni. Ma quest’opera segna un punto di svolta. Cambia radicalmente lo stile. La sua poesia si fa ricca di immagini, spesso oscure, sovrapposte e interconnesse, difficilmente decifrabili, il lessico si allontana dal linguaggio comune. È un punto di svolta non solo nella vita di Góngora: qualcuno dice che il nuovo stile dipende da vicende autobiografiche; qualcuno dice: dipende da malattia; qualcuno precisa: malattia mentale. È un punto di svolta anche nella storia della poesia spagnola, e della poesia universale. È l’avvento del barocco. Un barocco speciale: barroco gongorino, gongorismo, culteranesimo. Gli echi e i seguiti sono di enorme portata. Da allora la poesia occidentale non è più la stessa. Senza questa svolta non avremmo, nel Ventesimo Secolo, surrealismo ed ermetismo.
E tutto nasce con questi due versi. La poesia in senso stretto è celebrativa. Si esaltano le gesta di Filippo III d’Asburgo, Re di Spagna e delle Indie, Re del Portogallo e dell’Algarve. I versi raccontano la conquista – la presa: la toma in spagnolo – di Larache città portuale marocchina situata alla foce del fiume Luco.
Ma sono versi lussureggianti, luminescenti, che vanno ben oltre l’argomento politico. La poesia è una cornucopia, simbolo di abbondanza, dalla quale traboccano immagini.

Pieter Paul Rubens, Abbondanza, circa 1630, Tokyo, Museo Nazionale d’Arte Occidentale

In nuce, l’intera macchina barocca – la promessa di sempre nuove immagini lussureggianti e sorprendenti – sta nell’incipit, questi due versi. Leggendo i quali, potenzialmente, leggiamo l’intero, sconfinato corpus della poesia barocca, surrealista, ermetica… Perché la poesia si nutre di poesia e le immagini si nutrono di immagini.

En roscas de cristal serpiente breve,
por la arena desnuda el Luco yerra,

Una prima traduzione letterale potrebbe essere questa:

In spire di cristallo serpente breve
per la sabbia nuda il Luco erra

Il fiume che erra, serpeggia, nella sabbia nuda, nel terreno desertico e spoglio, non comporta difficoltà speciali interpretative. L’immagine appare anzi abbastanza ovvia. Così molte interpretazioni si sono concentrate sul primo verso. L’incipit dell’incipit.
Le spire della serpe si avvolgono su se stesse, e con esse il senso del verso, in una spirale infinita.

Serpiente de cristal

Ma perché di cristallo. Critici accaniti, preda del gioco barocco della ricerca di sempre nuovi sensi sottesi, vede in questo cristallo una vertiginosa sintesi di ogni pietra preziosa: diamanti e rubini e di smeraldi, eliotropo, agata verde con macchie rosse, carbonchio lucido e vermiglio. Sembra eccessiva questa immagine del serpente. Più facile immaginare che sia così, immaginifico, lo sfondo. O meglio: il terreno, la roccia sulla quale si appoggia e si muove l’animale. E allora si afferma una lectio facilior. Infatti Paul Valéry, citando il verso di Góngora, forse a partire dall’errore di stampa in una qualche edizione, lo intende così:

En rocas de cristal serpiente breve3
In rocce di cristallo serpente breve.

Ma perché sfuggire alla potenza delle immagini. Accettiamo invece il dono barocco: le spire di cristallo. Il serpente di cristallo.
Così ho scritto a proposito di questi versi, seguendo l’interpretazione che ne offre José Lezama Lima, poeta cubano.4 Nessuno come Lezama riannoda nel Ventesimo Secolo il discorso di Góngora. La ricchezza delle immagini sovrapposte, dice Lezama, da vertigini, provoca nausea. È tanto sovrabbondante da spingerci a difendercene. Ma Lezama ci invita invece ad accettare lo difícil, ciò che è difficile. Perché solo lo difícil es estimulante.5 Solo ciò che è difficile è stimolante. Così Lezama con la sua poesia ci impone di accettare sequenze di immagini ardite e a prima vista stordenti che talvolta fanno impallidire le stesse immagini di Góngora.

José Lezama Lima, poeta cubano (1910-1976)

Esistono solidi motivi per ritenere che il florilegio di immagini sorprendenti, tese a meravigliare –l’impasto del barocco di Góngora e di Lezama – non nasca da una febbrile fantasia, né da mitologie o repertori di simboli. Il barocco, infatti, si nutre di narrazioni di viaggiatori, cronachisti delle Indie: la novità americana – nuovi paesaggi, piante, frutti, animali – nutre l’immaginario, trasformandolo, sfondando i tradizionali angusti confini europei.
Forse per Góngora era già così: la poesia barocca nasce perché è stata scoperta l’America. Ma ciò che è probabile per Góngora è certo per Lezama: le sue immagini sono intrinsecamente legate al Nuovo Mondo. Immagini del Nuovo Mondo; Nuovo Mondo di immagini.

Lezama osserva anche come parallelamente alla poesia si affermi nell’America Spagnola una nuova architettura barocca. Cattedrali le cui facciate sono scolpite da artisti indios. La facciata di San Lorenzo a Potosí, scolpita da Kondori. “Poderosa abstracción”, “opulenta energía”, dice Lezama.7 Una selva di simboli che trovano il loro senso in culture precolombiane. Scolpiti con gesti veloci in piedra blanda, pietra dolce, morbida, quasi plastica. Diversa dal marmo europeo.8

© Francesco Varanini, La facciata della Chiesa barocca di San Lorenzo a Potosì, Bolivia
Tornare a leggere la poesia

Ero arrivato ad accettare questa novità. Questa immagine solo parzialmente afferrabile della serpiente di cristal (in spagnolo serpente è femminile), animale immaginario, serpente che ha i colori di ogni pietra preziosa. Ma poi di recente è successa una cosa.
Parlavo con amici in un tranquillo dopopranzo, della-carne che ci è capitato di mangiare. Nei miei viaggi ispanoamericani, carne di res -bovina-, di chancho -maiale-, di llama e di alpaca, di scimmia, di perezoso -bradipo-, venado, ratón de monte, guanta, lagarto… Cosa è il lagarto, mi chiedono. Avete ragione, dico, lagarto è un termine troppo generico. Credo fosse iguana, ma mi prende la curiosità, vado a guardare sul web. Lagarto, in effetti, è lucertola, ma anche iguana e alligatore. Vedo un elenco lunghissimo, nel quale leggo anche serpiente de cristal.
Mi scatta in mente l’associazione. Torno a ripetermi il verso di Góngora che avevo studiato. En rocas de cristal serpiente…
La serpiente de cristal non in realtà un serpente, un ofide, è  un ophioides intermedius, una specie di lucertola che sta vivendo un processo di cambiamenti anatomici che la porteranno a trasformarsi, in futuro, in un serpente. La sua faccia ha però ancora l’aspetto di una lucertola e i suoi occhi hanno le palpebre, e sul suo corpo si osservano ancora minuscole tracce di zampe. Serpente di cristallo, forse, per la sua pelle traslucida; o per la sua fragilità, la coda può tagliarsi facilmente, ma poi si riforma.
Ma allora, mi dico, non si tratta di una figura partorita dalla mente immaginifica del poeta; è invece il frutto di una quotidiana osservazione del mondo. Non si tratta dell’immagine del serpente che Aby Warburg rincorse attraversando culture diversissime.9 È un animaletto osservato con i propri occhi. E infatti, non ci avevo mai fatto caso, sul Diccionario de la lengua española della Real Academia, alla voce serpiente, accanto alla serpiente de cascabel, serpente a sonagli, si trova la serpiente de cristal.

Dunque l’effetto sorprendente è stato trovato dal poeta tramite un gesto semplicissimo. Una mera inversione. Possiamo chiudere i libri di araldica, di iconologia. E diventa irrilevante chiedersi se a rigore si tratta di una anastrofe: figura retorica consistente nell’inversione dell’ordine abituale di un gruppo di termini successivi o un iperbato: allontanamento di una parola da un’altra alla quale dovrebbe essere vicina.
Basta dire che l’espressione di uso comune serpiente de cristal resta nuova dicendo: de cristal serpiente. Breve: animaletto che si muove rapidamente, a scatti.

En roscas de cristal serpiente breve,
por la arena desnuda el Luco yerra,

Possiamo ora tornare a leggere: il Luco, fiume, si snoda nella sabbia nuda, nel terreno desertico, come un serpente di cristallo avvolto in spire.
E così mi tornano in mente anche quei versi di Lezama Lima, evidente citazione dei versi di Góngora:

serpientes de pasos breves, de pasos evaporados10

Fiume Luco nei pressi di Larache, Marocco

Mi sembra ora chiaro: sono evaporati i passi del lagarto che, serpiente de cristal, non ha più zampe.

Possibile che ci abbia pensato solo io? Non credo proprio. Ora quindi potrei andare a cercare nelle fonti e nei commenti. Cercare conferme della mia intuizione, avvalorarla. O magari, alla luce di diverse interpretazioni, arrivare a confutarla.
Lezama in quel verso sembra alludere al serpente che non è ancora del tutto serpente, ma nel saggio che dedica alla Sierpe de Don Luis de Góngora, scritto dopo quella poesia, non si trova traccia di questa interpretazione.
Ma non importa. Góngora mi parla e mi dice questo. Non voglio cercare conferme o sconferme. Voglio conservare la purezza dell’immagine.

Proprio questa è in fondo la lezione. Dobbiamo diffidare di tutti quegli strati interpretativi, quelle letture scolastiche accumulatesi nel tempo, diffidare della acribia filologica, tutta quella critica del testo che ci allontana da una spontaneità personale.
È più bello, più importante, per ognuno di noi, essere, con tutti i propri limiti, più che critico, più che lettore canonico, poeta. È importante per ognuno di noi coltivare il proprio essere artista.
Questa è l’immagine che appare a me, non c’è bisogno di andare a cercare oltre. Questa è la fruizione della poesia, dell’opera d’arte in genere.
Impariamo a leggere gli incipit. A cogliere le immagini.

Note

1Luis de Góngora y Argote, “A la toma de Laroche, plaza fuerte de Africa, que se entregó por trato con Muley Jeque, rey de Fez, año 1610”, Canciones, Canciones Heroicas, I, sta in Las obras de Don Luis de Góngora, reconocidas y comunicadas con él por Don Antonio Chacón, 1628. Vedi Obras poéticas de Don Luis de Góngora, a cura di R. Foulché-Delbosc, The Hispanic Society of América, New York, 1921.

2Ibid.

3Paul Valéry, L’Idée fixe ou Deux Hommes à la mer, Les Laboratoires Martinet, Paris, 1932, vedi in Œuvres, Tome II, Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, Paris, 1960 [verso di Góngora posto ad exergo].

4Francesco Varanini e Elisa Carolina Vian, “Dall’oscurità alla luce: il barocco americano e Lezama Lima”, in Emilia Perassi e Laura Scarabelli, Itinerari di cultura ispanoamericana. Ritorno alle origini, ritorno dalle origini, UTET Università, 2011.

5José Lezama Lima, “Mitos y cansancio clásico” [prima di cinque conferenze, lette il 16, 18, 22, 23 e 26 gennaio 1957], in La expresión americana, Instituto Nacional de Cultura, Ministerio de Educación. La Habana, (1957), vedi La expresión americana, a cura di Ulloa, L.A, Justo C. Ulloa J.C, e Chiampi, I, Confluencias, Almería, 2011. Trad. it. in José Lezama Lima, Le ere immaginarie, Pratiche, 1978.

6Francesco Varanini, Viaggio letterario in America Latina, Marsilio, Venezia, 1998. Cap. 8: “Contrappunnto cubano dell’eccesso e della regola: il barocco tropicale tra José Lezama Lima e Aljo Carpentier”.

7José Lezama Lima, La expresión americana, cit. [Seconda conferenza: La curiosidad barroca, 18 gennaio 1957].

8Ángel Guido, Redescubrimiento de América en el arte, Universidad Nacional del Litoral, Rosario, 1940. Pál Keleman, Baroque and Rococo in Latin America, Macmillan, Neww York, 1951. Fotografie di Francesco Varanini.

9Aby Warburg (and William Faulkner Mainland), “A Lecture on Serpent Ritual”, Journal of the Warburg Institute, vol. 2, no. 4, 1939, pp. 277–292 [Aby Warburg, “Bilder aus dem Gebiet der Pueblo-Indianer”, conferenza tenuta il 25 aprile 1923]. Trad. it. Il rituale del serpente, Adelphi, Milano, 1998.

10José Lezama Lima, “Ah, que tú escapes”, in José Lezama Lima, Enemigo rumor, Ucar, García y Cia., La Habana, 1941. Vedi: José Lezama Lima, Poesia completa, Aguilar, Madrid, 1988.