Non è la prima volta che Lorenzo Mattotti gioca su una posizione artistica difficile da inquadrare nelle ripartizioni classicamente utilizzate. La sequenza di immagini contenuta nel volume Città, incroci, amori e tradimenti (LogosEdizioni, 2022) non è riconducibile alla pittura (è fatta per la riproduzione a stampa, fa uso di supporti e tecniche poco canonici), ma nemmeno all’illustrazione (non c’è nessun testo verbale, o occasione esterna, di cui queste immagini costituiscano un commento visivo, ovvero un’illustrazione), e neppure al fumetto o al picture book (non c’è nessuna sequenza narrativa a cui le immagini possano essere ricondotte). Eppure queste immagini sono in dialogo con tutte e tre le dimensioni, e hanno qualcosa del dipinto, qualcosa dell’illustrazione, qualcosa di narrativo.
C’è indubbiamente, infatti, un percorso attraverso cui il lettore viene portato sfogliando le pagine del libro. Certo non un vero racconto. E tuttavia, allusivamente, una narrazione potrebbe pure risultare dall’intera sequenza: dopo le situazioni amorose che riempiono le prime (molte) pagine, ci sono altre situazioni di crisi di coppia, e poi entra in gioco la città, e la musica, e il ballo; per contiguità dinamica, il ballo si trasforma in una serie di risse, che proseguono come violenze famigliari, e poi come drammatiche solitudini; seguono immagini d’acqua, di cascate, dopo di che si ritorna al mondo umano e ai rapporti di coppia, ora colti in momenti forse iniziali, e comunque immersi nell’ambiente naturale o, soprattutto, cittadino.
Non posso escludere che ciascuna di queste immagini, o almeno qualcuna, sia nata come illustrazione a qualcosa. Certo, per come viene presentata qui, non è più tale; e non importa cosa sia stata in origine. L’immagine è perfettamente comunicante senza alcun testo di riferimento, proprio come un dipinto.
Se vogliamo, la successione dei temi e dei toni con cui essi vengono trattati (tecniche grafiche e stili differenti) funziona un po’ come funziona un brano di musica: ci sono dei motivi che ritornano, ma variati, e poi delle variazioni più forti che ci trasportano verso tutt’altri motivi, in una continuità di episodi che definisce un flusso, nel quale i motivi e i trattamenti possono ritornare, ma anche emergere locali novità, fino alla fine.
Sin dall’immagine di copertina questa dimensione musicale risulta, visivamente, con una certa forza. Queste cinque persone che si agitano evocano con incredibile efficacia la frenesia regolata del ballo in discoteca, con la sua pervasività dionisiaca, e insieme la solitudine in cui ogni ballerino si trova ad agire, ma anche il coordinamento, la sintonizzazione con gli altri che permette tutti i giochi di seduzione collegati al ballare. Quando, nel corso del libro, le immagini di danza vengono seguite dalle risse, l’analogia strutturale non può non essere colta: si tratta del medesimo dionisiaco, quasi delle stesse mosse, ma il cambio di tonalità (di contrasti e di tecniche) mostra con la medesima evidenza come si sia passati dal piacere al dolore, dalla convivenza alla tragedia.
È questa straordinaria capacità che ha Mattotti di cogliere similarità all’interno delle differenze a tenerci legati nel percorso. Comune a tutte queste immagini è la presenza di geometrie implicite, a organizzare lo spazio delle immagini. Non si tratta solo delle geometrie classiche dell’organizzazione dello spazio (prospettiva centrale o assonometria); a queste si aggiungono infatti altre regolarità geometriche, per quanto complesse: le ortogonali si oppongono a gruppi di diagonali parallele tra loro, e persino i colori entrano in gioco a definire queste forme.
È come una griglia poetica, non così dissimile dalle regolarità metriche che organizzano i versi e le loro successioni: la sovrapposizione al mondo di ricorrenze che non necessariamente gli appartengono; ricorrenze che potremmo definire umane, cioè non naturali, costruite, non trovate. Eppure, proprio come in poesia (quando riesce), queste ricorrenze entrano in rapporto con le forme del mondo che l’immagine raffigura, e con la situazione narrativa evocata. Si creano risonanze, contrasti, richiami. Da un lato, la rappresentazione (il racconto) ne emerge più ricca, più allusiva, più profonda; dall’altro la logica compositiva sembra farla da padrona, come se la rappresentazione non contasse nulla, come se l’immagine fosse astratta, pura composizione di forme. Questa ambivalenza tra astratto e figurativo risulta comunque fortissima nelle immagini di Mattotti, che rimarrebbero intense anche se non se ne cogliesse l’aspetto rappresentativo – che pure c’è, e fa la sua parte.
L’immagine astratta, da Kandinsky in poi, fa inevitabilmente riferimento alle forme del mondo; ma si tratta, evidentemente, di un richiamo più astratto di quello dell’immagine figurativa, più mediato, più allusivo, meno evidentemente dichiarativo. In Mattotti questo riferimento astratto, così forte come è, interagisce con quello ugualmente forte alla situazione rappresentata; e l’interazione tra loro crea un’inedita profondità semantica, pur difficilmente dicibile. Attraverso la sequenza, le tonalità emotive che emergono da ogni pagina si giustappongono poi per similarità o per contrasto, anticipando o richiamando altre tonalità del medesimo testo complessivo, o del mondo (esterno al testo) della nostra esperienza. Una logica musicale, insomma, benché basata su immagini. Del resto, pure l’astrattismo di Kandinsky nacque, a suo tempo, da una particolare relazione con la musica. Le relazioni fertili continuano a produrre frutti interessanti.
IL LIBRO
“Città, incroci, amori e tradimenti”
Lorenzo Mattotti
#logosedizioni, Modena, 2022