Negare con le parole, affermare con le immagini

Anna Candiani, Immagini del No/85Sr, 1974. Courtesy Frittelli arte contemporanea

Negare con le parole, affermare con le immagini. È questo il messaggio che ci lanciano le Immagini del No di Paola Mattioli e Anna Candiani, riproposto al MAMbo di Bologna, a distanza di cinquant’anni dalla sua prima esposizione alla galleria Il Diaframma di Lanfranco Colombo. Le Immagini del No nascono da una delle battaglie politiche più importanti della recente storia italiana, il referendum per l’abrogazione del divorzio. Il 1° dicembre 1970 era stata approvata una legge, proposta dal socialista Loris Fortuna, che permetteva di divorziare. Le forze conservatrici, sostenute dal Vaticano, si mobilitarono per ottenerne l’abrogazione e, il 12 maggio del 1974, venne indetto un referendum. Del 90% di votanti, il 59,1% votò “no” all’abrogazione della Legge Fortuna-Baslini.
La battaglia referendaria è assai vivace e vede un’ampia partecipazione delle donne, che grazie ai libri di Carla Lonzi, e non solo, avevano lanciato un grido di protesta: Manifesto di rivolta femminile (1970), Sputiamo su Hegel (1970), La donna clitoridea e la donna vaginale (1974) e il più tardo Taci, anzi parla, diario femminista (1977). Di pari passo con lo sbocciare delle rivendicazioni femminili in nome dell’ottenimento di una maggiore rilevanza politica e sociale si sviluppano anche molte riflessioni critiche scaturite dalla constatazione di una mancanza di artiste e fotografe dalla storia dell’arte e dalle occasioni espositive pubbliche. Paola Mattioli e Anna Candiani rispondono con le Immagini del No, e partono da un noi, fertile simbiosi di arte e quotidiano. Il terreno scelto per rappresentare questa lotta è Milano, la città dell’alta borghesia, ma anche di decine di migliaia di immigrati del Sud, la città della borsa, ma anche del movimento operaio.
L’attuale mostra al Mambo, Immagini del No. Il reenactment ripropone il medesimo allestimento del ‘74, una parete semicircolare con 134 fotografie prive del nome delle autrici, disposte su quattro livelli che permettono una lettura sia in orizzontale che in verticale, realizzato con l’aiuto di Giovanni Anceschi. Un montaggio complesso, a strisce sovrapposte in sequenza, un discorso polifonico che stacca nettamente dalla tradizione precedente, quella di raccontare una sola storia. Le fotografe rifiutano un modello narrativo realistico, ogni immagine è isolata e simbolica, ma allo stesso tempo entra in relazione con le altre, si lega o si separa dalle immagini che le stanno accanto. La mostra era accompagnata da un libro con 45 immagini, dove venivano indicati anche i nomi delle fotografe, e un testo di Arturo Carlo Quintavalle.

Allestimento mostra Immagini del No. Il reenactment di Paola Mattioli e Anna Candiani, MAMbo, Bologna
Allestimento mostra Immagini del No. Il reenactment di Paola Mattioli e Anna Candiani, MAMbo, Bologna

La prima sequenza del percorso narrativo, posta più in alto, è lo spazio in cui l’impegno delle fotografe assume un coinvolgimento maggiore. Le immagini si riferiscono alla lotta femminista, al tema della liberazione della donna, con una spiccata ironia sulla subalternità della condizione femminile, casalinga con prole (genitrix domestica) mammifero onnivoro diffuso negli agglomerati urbani della civiltà occidentale vive bene in cattività a condizione di essere tenuto in totale isolamento con i suoi piccoli (tra l’altro poco graditi agli altri adulti della specie), si legge su un cartello.
A discendere verso il basso, l’installazione prosegue con una striscia di immagini, l’unica a colori, realizzate dalla Mattioli, che documenta l’occupazione di alloggi popolari al quartiere Gallaratese, simbolo delle tensioni che attraversavano Milano. Secondo Quintavalle, questa è la zona che fornisce il senso, «il quadro civile della lotta per il “no”, la collega cioè a tutto un altro sistema di lotte, molto più ricco e articolato».

Paola Mattioli, Immagini del No/10r, 1974. Courtesy Frittelli arte contemporanea

Indubbiamente colpiscono i colori caldi, sulle pareti rosse e gialle degli edifici proliferano i simboli dell’occupazione, il disegno rosso di una casa, una A di anarchia e una falce e martello in nero, una bandiera rossa appoggiata al muro. Il terzo livello è il momento più complesso poiché immette nella narrazione altri interpreti della battaglia sociale, chi vota per il “sì” e i fautori del “no” che fanno parte delle organizzazioni sindacali e dei partiti, fra cui il pensionato con L’Unità che sbuca dalla tasca.
Leggendo le foto in verticale, tra il terzo e il quarto livello, spicca un dittico in cui le majorettes delle sfilate ufficiali si contrappongono alle madri della sinistra extraparlamentare con i figli nei passeggini, creando un cortocircuito visivo che funziona per opposizione. Proprio come accade a un manifesto con il volto di Palmiro Togliatti, che riporta una frase contro il divorzio da lui pronunciata durante un discorso, e poco sotto, un cartello dove campeggia un gigantesco “no”. In conclusione, il quarto e ultimo livello prevede un ritorno alla militanza con la narrazione delle manifestazioni dei giovani, degli studenti e dei gruppi extraparlamentari, che culminano nell’immagine finale all’interno della Palazzina Liberty di Milano, punto di riferimento della sinistra milanese non inquadrata nel sistema partitico, con Dario Fo che legge i risultati del referendum.

Anna Candiani, Immagini del No/10Sr, 1974. Courtesy Frittelli arte contemporanea-.

Nella parte centrale del terzo livello, leggermente isolata dalle altre, c’è una fotografia che attira la nostra attenzione, una cabina automatica per fototessera. In alto si legge Foto in tre minuti, in basso spicca un manifesto a favore del “no”, con il volto di Amintore Fanfani. Attraverso l’accostamento di parola e immagine, le artiste sottolineano in un solo scatto il senso del loro lavoro: dare un’immagine istantanea del “no”. Bastano meno di tre minuti, decantati dalla cabina, perché questo grande caleidoscopio di immagini e il suo sviluppo semicircolare, prototipo delle attuali esperienze immersive virtuali, si affermi con tutte le sue negazioni.
Le fotografie della Mattioli mostrano il “no” scritto sui manifesti, i muri, le statue, i finestrini delle auto, non sono dei documenti, ma una riflessione sul linguaggio, hanno un significato laterale, in seconda battuta. La componente alfabetica e grafica, che in alcuni casi riempie l’intero fotogramma, non funge solo da apparato didascalico, l’irruzione di quell’unica scritta insistentemente reiterata è una chiave per comunicare e suggerire l’interpretazione dello scatto. Quando la Mattioli isola la parola “no”, con un atto che è assieme selettivo e creativo, sceglie gli elementi da riprodurre e quelli da abbandonare. L’immagine è stata “ripulita” di ciò che non appare più necessario, una riduzione alchemica alla sostanza, alla struttura sub stans, quella che regge il senso.

Paola Mattioli, Immagini del No/18r, 1974. Courtesy Frittelli arte contemporanea

La fotografia amplifica, diviene cassa di risonanza, i “no” che percuotono i nostri occhi, aumentano sempre di più la loro intensità, come accade nel rito dove il gesto ripetuto e ossessivo si carica di significati e si trasforma, e nella danza che coinvolge chi guarda in un ritmo trascinante di rapporti. Questo modo di disporre le immagini è anche un dispositivo ottico, un’immagine che ricorda la visione a 360 gradi dell’antico panorama, o la funzione “panoramica” di un qualsiasi smartphone, con un approccio immersivo e una vista a campo lunghissimo. Ma soprattutto un dispositivo ottico che coglie la totalità della scena, liberandosi dalla parzialità dell’inquadratura.
L’esposizione semicircolare pone lo spettatore al centro del discorso. La distanza tra noi e le fotografie, più che il nostro raggio d’azione, è uno spazio di riflessione nel quale i “no” fanno leva sulla nostra coscienza. Cosa ci separa? Cosa ci unisce? Quali “sì” possiamo dire in mezzo a questi “no”?
La risposta è che la potenza del “no” incarna il bisogno di ribellarsi al forte vento reazionario che spira nel nostro presente, in cui femminicidi e violenze mostrano senza reticenze il potere di un patriarcato profondamente radicato nella nostra società.  Reenactment è rimettere in atto il dissenso contro ogni forma di sottomissione. Significa non accettare ruoli stabiliti, rifiutare ogni etichetta, nella completa indifferenza, o meglio insofferenza, verso qualsiasi percorso ordinatamente tracciato che in altre parole significa porsi in una condizione di movimento, di un continuo cambiamento che prelude ad ulteriori possibili cambiamenti. È rifiutare le limitazioni alla libertà di pensiero, di opinione, di manifestazione, è sostituire la parola “sicurezza” con “movimento”. È riprendersi soprattutto la possibilità di dire nuovamente e liberamente NO!

 

Immagini del No. Il reenactment
Le fotografie di Anna Candiani e Paola Mattioli
A cura di Valentina Rossi
Fino al 12 gennaio 2025
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Foyer