…et tout le rest est littérature
Paul Verlaine
Cosa dire di una lirica che racchiude in una immagine il destino di un uomo. Quando questa lirica è stata scritta dal padre; quando il padre è un famoso poeta, è maestro nel fissare le immagini in asciutte parole; quando il padre, cogliendo uno sguardo del figlio bambino, vi legge le tracce del suo futuro, un futuro di cui lui stesso, in quanto padre, è consapevole causa; e quando il figlio –figlio del poeta – diverrà a sua volta famoso come creatore di immagini, immagini ambigue e flash back orientati a illuminare gli anni dell’infanzia del padre e sua, gli anni della maturità del padre e sua.
Leggiamo:
Il dolore è nel tuo occhio timido
nella mano infantile che saluta senza grazia,
il dolore dei giorni che verranno
già pesa sulla tua ossatura fragile.
In un giorno d’autunno che dipana
quieto i suoi fili di nebbia nel sole
il gioco s’è fermato all’improvviso,
ti ha lasciato solo dove la strada finisce
splendida per tante foglie a terra
in una notte, sì che a tutti qui
è venuto un pensiero nella mente
della stagione che s’accosta rapida.
Tu hai salutato con un cenno debole
e un sorriso patito, sei rimasto
ombra nell’ombra un attimo, ora corri
a rifugiarti nella nostra ansia.
Attilio Bertolucci era nato a San Lazzaro Parmense nel 1911. Il figlio Bernardo a Parma nel 1941. I versi sono scritti, come era costume di Attilio Bertolucci, a ridosso degli eventi. Appaiono in apertura della raccolta, uscita nel 1955, In un tempo incerto, titolo che offre ai versi dedicati al figlio il contesto più adeguato: Bernardo ha cinque anni nel 1946. Il paese è distrutto, povero, lacerato da conflitti. Il dopoguerra si mostra come inizio della Guerra Fredda. Il boom economico è al momento inimmaginabile, di là da venire.
La lirica si offre alla lettura come un anello chiuso. La prima e l’ultima strofa appaiono, in prima istanza, fungibili, intercambiabili. Entrambe dedicate al ritratto del bambino, o più precisamente dedicate a quei dettagli significativi del suo corpo sul quale si posa pensieroso lo sguardo paterno: l’occhio, la mano, l’ossatura, il sorriso.
Dettagli tutti connotati da aggettivi coerentemente orientati a costruire l’immagine del bambino come bisognoso di protezione, privo di autosufficienza: l’occhio è timido, la mano infantile, l’ossatura è fragile, il sorriso patito. La mano infantile saluta senza grazia, il saluto è un cenno debole.
Omologhe nei contenuti descrittivi, ciò che distingue la prima dall’ultima strofa è la tensione diegetica. La prima strofa si conclude con una sospensione, con la prefigurazione del destino individuale del bambino. Il bambino è colto dallo sguardo paterno nella sua solitudine, diremmo quasi nel suo abbandono: Il dolore dei giorni che verranno / già pesa sulla tua ossatura fragile. Potrebbe essere questa la chiusa della lirica, e sarebbe una conclusione aperta, quasi una celebrazione della libertà del figlio, solo di fronte al proprio destino. Il cammino futuro del figlio, di ogni figlio, presuppone l’allontanamento dalla famiglia, dalle sue aspettative ma anche dalla sua protezione. Il dolore, deve ammettere il padre con rincrescimento, forse con un anticipato senso di colpa, graverà solo sulle tue spalle. Questa fragilità così drammaticamente evidente agli occhi del padre, collega la prima alla quarta strofa e motiva la conclusione di questa: ripiegamento anziché cammino; protezione anziché accettazione del dolore e invito all’accettazione del dolore – ora corri / a rifugiarti nella nostra ansia.
Esplicitamente ammessa dal padre, è qui espressa l’ambivalenza del rapporto tra figlio e genitori. Al bisogno di ‘rifugio’ del figlio corrisponde l’ansia del genitore, e viceversa. L’ansia del genitore, di per sé egoistico bisogno che richiede appagamento, priva il figlio di autosufficienza, lo limita nei suoi penosi tentativi di farsi carico del proprio dolore.
Ma d’altra parte cosa vuole il figlio? Cosa fare per lui? Come interpretare i suoi gesti disperati, quei suoi cenni deboli, quel suo attendere, incerto sul daffarsi, prima della corsa verso un rifugio che è d’altronde inesistente, perché il padre sa di non poter trasmettere al bambino nient’altro che la sensazione della propria ansia?
UN PADRE E UN FIGLIO IN UN TEMPO DIFFICILE
Le due strofe intermedie stanno alla prima e alla quarta come un campo lungo ad un primo piano. Dall’ossatura fragile l’occhio del poeta si sposta sullo sfondo: il giorno d’autunno che dipana / quieto i suoi fili di nebbia nel sole, la strada splendida per tante foglie a terra / in una notte. Su questo magico sfondo torna a stagliarsi, ma vista da lontano, la figura incerta del piccolo Bernardo. È solo, nessun compagno di giochi è con lui.
Il gioco narrativo continua infatti a essere focalizzato sull’opposizione esclusiva Bambino/Genitori. Se i contenuti della prima e della quarta strofa si organizzavano attorno all’asse ‘tuo dolore’ vs ‘nostra ansia’, qui, nelle due strofe centrali, abbiamo ancora da un lato il bambino, “solo”, e dall’altro la famiglia intesa come totalità (“tutti qui”), con in aggiunta una allusione alla diversa percezione simbolica del tempo da parte delle due figure: per il Bambino “il gioco si è fermato d’improvviso”; mentre “a tutti qui” (agli Adulti) è venuto un pensiero nella mente /della stagione che s’accosta rapida. Il bambino vive nella felice assenza di una prospettiva diacronica: percepisce solo – a motivazione apparente del suo dolore – la rottura di un incanto, la fine del felice movimento del gioco. Gli adulti colgono invece l’approssimarsi dell’inverno. Ed è certo anche un inverno simbolico, ché il poeta scrive “in un tempo incerto”, tale da motivare una più che giustificata “ansia”, ansia non solo esistenziale, ma anche legata al momento storico. 1946: un tempo incerto. All’inizio di giugno libere elezioni, dopo il ventennio fascista. Gli italiani scelgono la Repubblica al posto della Monarchia e eleggono i membri dell’Assemblea Costituente. La guerra è finita, ma il paese è distrutto e il futuro è denso di preoccupazioni. In autunno, mentre il bambino gioca, corre solitario tra le foglie a terra, “a tutti qui”, a noi genitori, è venuto un pensiero nella mente / della stagione che s’accosta rapida.
Sembra proprio riecheggiare, nei versi di Attilio, la voce di De Gasperi, da giugno Presidente del Consiglio, a Parigi, in agosto, alla Conferenza dei paesi vincitori. Parla a nome dell’Italia sconfitta. «Chi si fa interprete oggi del popolo italiano è combattuto tra doveri apparentemente contrastanti. Da un lato egli deve esprimere l’ansia, il dolore, l’angosciosa preoccupazione […], dall’altra riaffermare la fede della nuova democrazia italiana nel superamento della crisi».
Ma la grande storia resta sullo sfondo. Tutta l’attenzione è dedicata ai cari personaggi in primo piano. La grande storia si riassume in eventi quotidiani, piccole vicende familiari. Così è la poesia di Attilio Bertolucci: fogli di diario, minuscole annotazioni, dettagli di cui parole prive di qualsiasi enfasi tengono traccia labile, ma indelebile.
Tutto il senso si concentra in una domanda: saprà il figlio, con la sua “ossatura fragile” – non possiamo fare a meno di intendere qui l’“ossatura” come carattere: quell’indole, quella sensibilità, quelle difese che nascono dalla personale elaborazione del clima familiare, – saprà il figlio far fronte “al dolore dei giorni che verranno”?
UN GRAFO ESISTENZIALE
La scena – potremmo anche dire: il modello – proposto da Attilio Bertolucci si presta a varie interpretazioni psicologiche e psicoanalitiche. Edipo, la colpa. Le ferite narcisistiche. L’ombra di Jung. L’analisi del carattere di Wilhelm Reich. Il puer di Pagliarani. La psichiatria esistenziale, da Binswanger a Laing, dove oggetto d’indagine è, più e prima del ‘profondo’ della psiche individuale, l’essere-in-situazione dell’uomo, la ricognizione dei suoi modi di essere nel mondo, il rapporto con l’altro-da-sé. Il doppio legame della scuola di Palo Alto.
Appare anche opportuno ricordare che qui a parlare, a esplicitare la natura della propria presenza, dietro al noi, dentro il noi, è il padre. La figura genitoriale potrebbe essere convenientemente sdoppiata: c’è la madre e c’è il padre.
Ma il frammento di vita familiare dice già da sé tutto: lo sguardo timido del bambino, l’ansia dei genitori, la stagione preoccupante che si approssima. È la forza della narrazione: la poesia, come il film, mostrano la propria efficacia suggerendo, senza dire tutto; traendo forza dall’incompletezza, dalla parzialità. Il dettaglio è elevato a chiave esplicativa. La microstoria privata assume valore universale. La letteratura, il cinema, le arti in genere anticipano e indirizzano le scienze, anche le scienze umane.
Qui veramente possiamo considerare Attilio, il padre, maestro del figlio, Bernardo. La poesia di Attilio, come poche altre, mostra una indefettibile attenzione a qualcosa che è in apparenza autobiografia, ma presto si rivela qualcosa di più profondo. Lo sguardo è sempre fedelmente rivolto alla scena primaria: “dolci affetti familiari sentiti sempre come sordamente minacciati, cui fanno da luminoso e immobile fondale Parma e la campagna circostante”. Una scena primaria alla quale eternamente si torna, nel ricordo, ma anche nella speranza.
La fabula della lirica può dunque essere resa con questo semplice grafo esistenziale: mappa, diagramma composto di linee e di punti, permette di rappresentare l’argomentazione per via di similarità – una sorta di via intermedia, un punto di incontro, forse, tra la parola scritta tramite segni alfabetici e le immagini.1
In un campo spazio-temporale: “tempo incerto”, giorno d’autunno, “stagione che s’accosta rapida”, strada “splendida per tante foglie a terra”, si muovono, descritti dal padre, il tu: il figlio, Bernardo a cinque anni, e il noi: “a tutti qui”, la “nostra ansia”: i genitori.
I movimenti dei due soggetti sono misurati da chiare regole di interazione, ovvero da una precisa grammatica relazionale. Genitori e figli sono legati da una rete segreta di comunicazione, dissociata dai comunicati verbali, ufficiali. Sguardi, gesti, segni imperfettibili. La poesia indica senza dire. Il film può far vedere senza mettere troppo in mostra.
Il “dolore” è comunicato da Bernardo attraverso lo sguardo, attraverso il gesto “infantile” della mano, attraverso il sorriso “patito”, attraverso il movimento della corsa.
Esiste un rapporto di mutua implicazione, di costante rimando tra i fasci comunicativi dei genitori, che veicolano “ansia”, e quelli del bambino che testimoniano il suo “dolore”. La situazione è patogena. Il bambino si trova nell’impossibilità di essere come lo vorrebbero i genitori. L’aspettativa dei genitori è autocontraddittoria; il loro messaggio suona infatti così: “gioca liberamente, ma non farci stare in ansia”. Dietro il messaggio che incoraggia il piccolo all’indipendenza traspare il metamessaggio: non farci stare in ansia. La nostra ansia è giustificata, perché il mondo è pericoloso, tu non puoi sapere, ma viviamo “in un tempo incerto”…
Cosi il bambino vive la situazione incongrua di sapere che i genitori accoglieranno con ansia i suoi tentativi di diventare grande, soffriranno (certo, per il suo bene) vedendolo crescere in questa poco promettente stagione che s’accosta rapida.
Specchio dell’ansia dei genitori, chiusura del cerchio comunicativo, ecco dunque ‘dolorosi’ gesti del bambino, segni della sua mancanza di autosufficienza, metamessaggi rivolti ai genitori per dire “non sono adulto, ho bisogno di protezione”.
Vediamo così il piccolo Bernardo preda della pericolosa ombra, alle prese con l’inaccettabile. E dopo un ultimo dubbio, un soprassalto di indipendenza, lo vediamo gettarsi nelle braccia tese dei genitori: sei rimasto ombra nell’ombra un attimo, ora corri / a rifugiarti nella nostra ansia.
Come uscire dal circolo vizioso? E poi, dobbiamo veramente uscirne?
Bernardo Bertolucci bambino nelle riprese di Antonio Marchi. (16mm, Fondo Antonio Marchi).
In Come un canto. Appunti e immagini di un regista dimenticato prodotto da Home Movies e Kinè
UNA “FINZIONE” ALLA MANIERA DI BORGES
La lirica, possiamo ripeterlo, si presenta anche come seducente prefigurazione del destino del figlio. Il dolore è nel tuo occhio timido: il verso, se vogliamo, è una sintesi efficace della poetica di Bernardo Bertolucci regista cinematografico. Intesa così, l’opera di Bernardo è una profezia che si autoavvera.
Basta qui citare i film della formazione e dell’affermazione del giovane regista. Prima della Rivoluzione (1964): Parma, 1962. Lo studente Fabrizio vive la faticosa doppia appartenenza alla borghesia e al Partito Comunista Italiano. La strategia del ragno (1970): Athos, figlio di un eroe della Resistenza assassinato, a quanto sembra, dai fascisti nel 1936, tenta di svelare il mistero della morte del padre.
Come Borges si formava la visione del mondo leggendo i libri della biblioteca del padre, possiamo immaginare Bernardo da ragazzo, curioso, intento a scegliere nella biblioteca di Attilio. Finzioni esce in italiano per Einaudi, tradotto da Franco Lucentini, nel 1955. Bernardo ha allora quattordici anni. Da El tema del traidor y del héroe, un racconto compreso in Ficciones, prende spunto Bertolucci per stendere la sceneggiatura della Strategia del ragno. Forse Bernardo aveva preso in mano quel libro da ragazzo. O forse invece parla a Bernardo del racconto di Borges Eduardo De Gregorio, coetaneo sceneggiatore, in quegli anni a Roma. Per Bernardo, come per Borges, le due genesi possono convivere, e alimentarsi a vicenda.
La raccolta di racconti Artificios esce nel 1944. Poi nello stesso anno le raccolte El jardín de sederos que se bifurcan (1941) e Artificios confluiscono nella raccolta Ficciones.
Ficciones: l’autore plasma la materia narrativa come un vasaio, costruendo mondi possibili. Il mondo che appare vero nella storia di cui siamo fisicamente partecipi è solo uno dei mondi possibili. L’artificio – l’opera, il frutto dell’abilità, della perizia dell’autore – si manifesta pienamente quando ci trascina, ci avvince e ci porta via. Qui il cinema – le immagini in movimento nel buio della sala, è la prosecuzione della letteratura con mezzi più potenti.
Nel Tema del traidor y del héroe – l’investigatore trova misteriose coincidenze tra le morti di grandi eroi archetipici e le morti di più vicini eroi rivoluzionari sulle quali indaga. Ma come sempre con i racconti di Borges, c’è molto di più. Intanto la data di scrittura, 3 gennaio 1944, data citata all’interno del racconto stesso. Anche nelle remote terre argentine la guerra è presente: in quei giorni il governo militare rompe i rapporti diplomatici con i paesi dell’Asse. Borges, poi, mostra come il traditore e l’eroe possono riassumersi in un’unica enigmatica, complessa persona.
Ritroviamo in Bernardo l’ambiguità dei protagonisti, in una Emilia riletta come territorio mitico, così come lo è l’Irlanda nel racconto di Borges.
Atmosfere ricostruite a partire dai ricordi dell’infanzia. E ancora, nei film di Bernardo, l’isolamento, la tragica solitudine dell’uomo, la sofferenza insita in ogni relazione. Il figlio ha, come il padre, sublimato attraverso la produzione artistica il ‘dolore di vivere’. Il padre gli aveva insegnato questo, ovvero gli aveva reso inevitabile questa scelta. E ancora: Padre e Figlio entrambi autori, ed entrambi personaggi di narrazioni.
Qui, nei versi scritti nel 1946, il testo è del padre, ma potrebbe essere del figlio: come non immaginare la lirica sotto forma di sequenza, insieme di inquadrature che descrivono un episodio narrativo: il bambino che corre da solo, le foglie per terra, la nebbia, gli sguardi, il gesto sgraziato, l’abbraccio.
Il figlio ricorderà: «Ho cominciato a scrivere poesie per imitare mio padre e ho smesso di scriverle quando ho cominciato a fare dei film, per differenziarmi da lui. Ho scritto poesie fino al giorno dell’inizio delle riprese del mio primo film fatto dentro l’industria. Dopo la prima inquadratura della mia vita, non ho più scritto poesie». La prima inquadratura, a quanto la storia ricorda: ma è una storia che si fa già mito, può essere datata ai sedici, diciassette anni. E avviene ancora nel segno del passaggio da padre in figlio.
Il luogo è Casarola, frazione di Monchio delle Corti, minuscolo paesino in Alta Val Bratica, fra le Valli dei Torrenti Parma e Cedra, terra di origine della famiglia. Lì, nella casa in pietra che risale alla fine del 1700, amava ritirarsi il poeta. Lì la famiglia sfollò durante la guerra, e poi sempre trascorse lunghe vacanze estive.
L’estate impolvera le siepi / anche oltre i mille metri, / impolvera le more ostinate / in un’adolescenza agra. // Ma la tua adolescenza s’addolcisce, matura / nella pazienza artigiana e sottile / di questa ripresa dal basso / e da dietro la siepe stracciata, / così da tramare di spini / foglie e bacche / il racconto nel suo tempo reale / scandito dai passi silenziosi / e furtivi dei bambini…. Sono versi di Bernardo. Il titolo è La Teleferica.
“Affrettatevi, la teleferica è lontana / e Bernardo, che ha le gambe lunghe dei quattordici anni, la smania dello storyteller, / insiste sul tempo reale, vuole / che vi perdiate fra castagni e felci”.
Il quattordicenne scrive la prima sceneggiatura. Tre bambini approfittano dell’ora della siesta per inoltrarsi da soli nei boschi oltre il torrente e il cimitero, in cerca delle vestigia di una teleferica in disuso da trasformare in altalena. Ricorda Bernardo «Infine, stanchi, pensano di tornare a casa attraverso i boschi. Sono tristi per l’impresa fallita e senza accorgersene attraversano il torrente e risalgono, nel tardo pomeriggio, sempre attraverso i boschi. A un tratto si trovano nella strada in costruzione. Il sole sta scendendo. I bambini sono già nell’ombra». È il suo primo film, La Teleferica, andato perduto.
E potrebbe essere questo anche il tema di un racconto di Borges: un personaggio, che si rivela essere un poeta che ricorda i suoi anni di giovane adulto, sogna di osservare da lontano il figlio giocare sul limitare di un bosco. A risvegliarsi è il figlio; interiorizzate le ansie del padre è ora divenuto, con dolore, ciò che il padre aveva sognato divenisse da grande. O ciò che il padre sperava il figlio, da grande, non diventasse mai: un regista, che usa le immagini al posto delle parole.
La poesia del padre si trasforma in film del figlio. Anche il padre di Borges era scrittore. Accadde che un suo romanzo fu erroneamente attribuito al figlio.
«También eso, tal vez, estaba previsto». Con queste parole Borges conclude Tema del traidor y del héroe, che sarà La strategia del ragno di Bernardo. “Anche questo, forse, era previsto”.
NOTE
1Charles Sanders Peirce, “Iconismo e grafi esistenziali”, in Semiotica, Einaudi, Torino, 1980, pp. 211-271 (Collected Papers 4347-4573). Vedi. anche Umberto Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1975, pp. 261-264.