Una mappa umida

Alga del Mekong, ©Pietro Lo Casto 2024, Courtesy l’artista

«Fu sotto il mio comando che risalii il grande fiume, i cui misteri avevo cercato invano di risolvere per anni; le informazioni fornite dagli indigeni erano tanto torbide quanto le acque agitate del Mekong».

Louise de Carne, Spedizione nel Mekong del 1866–1868 (De Lagrée and Garnier, 1885)

Nel maggio del 2023, sono stato invitato a partecipare a un progetto di ricerca collaborativa sul fiume Mekong in Thailandia insieme a un gruppo multidisciplinare composto da artisti e curatori locali e internazionali1 e con il supporto di alcune istituzioni culturali e ambientali2. Nel corso di un anno, abbiamo intrapreso una serie di viaggi con l’obiettivo di indagare i cambiamenti che questo paesaggio fluviale ha subìto a causa delle dighe che sono state costruite a monte, prima in Cina e più recentemente in Laos. Gli impatti di queste infrastrutture, promosse come un mezzo di modernizzazione e progresso, hanno influenzato la sostenibilità del fiume. L’alterazione del flusso d’acqua disturba le migrazioni dei pesci, influisce sul trasporto di sedimenti e trasforma gli habitat acquatici. Allo stesso tempo questi cambiamenti hanno impattato negativamente anche la fibra sociale e il sostentamento delle comunità che vivono vicino all’acqua.

Fiume Mekong, Pak Chom, ©Pietro Lo Casto 2023, courtesy l’artista

Il nostro primo viaggio si è svolto nella località thailandese di Pak Chom, dove il Mekong definisce il confine geografico con il Laos. Durante il corso di una serie di interviste e workshop condotti a stretto contatto con la comunità locale, abbiamo scoperto come gli effetti delle dighe, e in particolare i cambiamenti frequenti e imprevedibili che comportano sul livello dell’acqua del fiume, stanno influenzando, tra gli altri, la viabilità e la qualità della Cladophora (Oxford University Plants) – un’alga verde diffusa nel fiume Mekong – con conseguenze dirette sull’ecologia umana e non umana che si intreccia in maniera vitale con il fiume.
L’alga del Mekong, chiamata Kai o Tao nella lingua del luogo, affiora nelle acque del fiume durante i mesi estivi quando il livello dell’acqua solitamente scende. Oltre ad essere importante per il ciclo vitale dell’ecosistema fluviale, viene consumata come una prelibatezza stagionale. La raccolta di queste alghe è tradizionalmente affidata alle donne. Raccolta e cucinata, viene consumata in famiglia o venduta nei mercati locali, è diventata negli anni un’entrata economica stagionale su cui fanno affidamento le comunità che vivono vicine al fiume. Rappresenta, sebbene in parte, uno dei molti intrecci tra l’uomo e l’ambiente che esistono sul Mekong e rendono la vita dei residenti così interconnessa al fiume da essere quasi in simbiosi.
Oggi, l’alga contiene spesso sabbia, minerali e sostanze chimiche derivanti dalla costruzione delle dighe, riducendo la sua idoneità per la raccolta e il consumo. In alcune zone, non esiste più.
Affascinati da questa alga endemica del Mekong, abbiamo deciso di effettuare un’altra serie di visite nei mesi estivi, quando le comunità si dedicano alla raccolta, con l’obiettivo di esplorare la fisicità di questo materiale naturale con i cinque sensi.

Una donna si appresta alla raccolta di alghe nel fiume Mekong, Chiang Kong, ©Pietro Lo Casto 2024, courtesy l’artista

Per trovarla ci siamo avventurati all’interno di questo grande fiume accompagnati in barca da alcune donne della comunità. Arrivati sul posto ci siamo ritrovati con l’acqua alla vita, abbiamo ascoltata l’alga brulicare tra la superficie e il fondo del fiume. Raccolta si presenta setosa al tatto, umida e porosa. Allo stesso tempo può essere ruvida, quando comincia a invecchiare. Abbiamo scoperto che Il ciclo di vita è veloce, dai due ai tre giorni, se non raccolta in tempo si trasforma in fungo prima di ritornare allo stato liquido originale.

La si può consumare fresca, viene cucinata seguendo una ricetta locale chiamata “Laab Tao” (Lao Spicy Algae Salad), come ci spiega una donna del luogo: «Qui la mangiamo aggiungendo molluschi, pesce o vongole. È deliziosa. Simile a come facciamo la salsa di sgombro, ma meno oleosa, poiché l’alga è piuttosto acquosa. L’alga è morbida, mescolandola con acqua naturale viene pulita e pronta per essere cucinata.»

Preparazione Laab Tao, Pak Chom, ©Pietro Lo Casto 2023, courtesy l’artista

Tornati nel villaggio abbiamo seguito la preparazione di questo piatto concentrandoci sulla sensorialità degli ingredienti e del processo di cottura, il ribollire nell’acqua dell’alga, la lenta frittura delle lumache di fiume, la voce squillante della nostra cuoca interrotta solo per un momento dal tentativo, un po’ goffo, di un giovane vicino di casa di offrire al gruppo un bicchiere di whisky locale come aperitivo. Abbiamo infine gustato il piatto tutti insieme.
Questo processo di ricerca è stato fondamentale per sviluppare una conoscenza situata, costruire una connessione emotiva con il territorio e le persone del luogo, e comprendere i molteplici significati di questo materiale.

Diagramma collaborativo, Pak Chom, ©Pietro Lo Casto 2023, courtesy l’artista

Il lavoro di campo ci ha permesso di capire come questi paesaggi fluviali di confine siano territori stratificati, dove il passato plasmato dall’influenza coloniale occidentale ha contribuito a costruire una narrazione presente e futura che li vede come luoghi in cui la ricchezza ecologica e l’interdipendenza vengono trascurate a favore dell’estrazione delle risorse.
Prima della fine del XIX secolo, la regione del Mekong nel sud-est asiatico era territorio inesplorato per i cartografi occidentali, esistendo solo nel regno dell’immaginazione cartografica. Nel libro The Mekong: Turbulent Past, Uncertain Future di Milton Osborne, vengono dettagliate le esperienze delle prime esplorazioni del Mekong di un gruppo di spedizione francese nell’era coloniale. L’esplorazione francese, iniziata nel 1866 da Saigon in Vietnam verso valle fino allo Yunnan in Cina, durò circa due anni e permise di mappare informazioni sulle caratteristiche geografiche del fiume (Osborne, 2000). Attraverso una combinazione di tecniche di mappatura non adatte alla situazione, unite a errori deliberati, queste mappe sono state progettate per aumentare il potere coloniale e le rivendicazioni su ciò che poteva essere progettato come terra. Infatti, ciò che viene considerato errore nella cartografia europea è spesso legato al desiderio di possedere e sfruttare la complessa e mutevole superficie terrestre come proprietà (Awan, 2023). Tracce di questi passati si possono trovare nel territorio ancora oggi. Su alcune isole rocciose, peculiari del letto del fiume nella zona di Pak Chom, si possono notare imponenti strutture in sassi e cemento che, a forma di scale alte più di 3 metri, si ergono sulle cime dei massi. Rappresentano antichi strumenti di navigazione costruiti sotto ordine dei francesi più di un secolo fa. Questi artifici servivano a segnalare la direzione alle imbarcazioni permettendo di navigare il fiume durante la stagione delle piogge, quando normalmente il livello dell’acqua aumenta. Simili a delle porte verso un’altra dimensione temporale, rivelano un passato che vive ancora nei tessuti del presente. Narrano di ambizioni imperiali occidentali, della trasformazione del Mekong in una grande via commerciale che avrebbe facilitato il commercio con la Cina (Keay, 2005).

Antichi strumenti di navigazione, fiume Mekong, Pak Chom, ©Pietro Lo Casto 2023, courtesy l’artista

Questa maniera di immaginare il fiume continua a echeggiare nel presente, sebbene in forme diverse, attraverso la costruzione delle moderne dighe. Questi progetti, pur dichiarando di perseguire obiettivi di sviluppo, rappresentano in realtà sforzi neo-coloniali di estrazione che hanno impatti ecologici diffusi nella complessa rete di vita della regione (Sangkhamanee, 2009).
La Thailandia finora è stata esente dalla costruzione di dighe sul Mekong, grazie alla forte resistenza delle comunità locali e delle ONG internazionali. Tuttavia, i progetti continuano a essere proposti, uno di questi vede la costruzione di una diga proprio nelle vicinanze di Pak Chom. Se realizzata, la diga comporterebbe alterazioni irreversibili alla morfologia del paesaggio e allo stile di vita delle comunità locali.
Tecniche avanzate di visualizzazione, come la mappatura e la rappresentazione in 3D dei nuovi progetti idroelettrici proposti, sostengono questo processo di commercializzazione del territorio.
Nel corso della storia, le mappe sono state strumentalizzate negli sforzi di colonizzazione, affermando visioni del mondo e rivendicazioni territoriali specifiche come verità indiscutibili (Awan, 2005). Tuttavia, ciò che queste tecnologie di prospettiva coloniale e capitalista trascurano costantemente nella loro rappresentazione semplificata degli ecosistemi fluviali sono le intricate e interconnesse reti di relazioni che non possono essere ridotte a dati astratti e che servono a scopi al di là della produzione di valore economico. Nel contesto del Mekong, questo significa escludere le esperienze di vissuto e di conoscenza locale che sono parte imprescindibile del territorio, appiattire questi stili di vita ecologicamente intrecciati, rendendoli così più gestibili e accessibili per l’estrazione.

Mappa progetto idroelettrico di Pak Chom, © Mekong River Commission

Come artista, ho iniziato quindi a interessarmi alla possibilità di usare l’alga Kai per corrompere queste tecniche di potere, ed elaborare una maniera di contro-visualizzare la superficie del Mekong, un territorio che non è mai un semplice strato piatto, geometrico, semplificato ed esaustivo come le mappe vogliono rappresentare. La materialità dell’alga in questo senso è molto più simile alla realtà del fiume: torbida, rugosa, porosa e irregolare.

Il materiale ti può permettere di vedere tracce altrimenti difficili da vedere. L’alga in questo senso può fungere da testimone del territorio, incorporare le micro-storie, e le molteplicità di mondi – passati, presenti, e futuri – che coesistono e co-producono la realtà del fiume. Queste sono modalità di comprendere lo spazio che appartengono a modi relazionali, materiali e più che umani. Queste visioni alternative si allineano alle cosmologie situate in questi luoghi, offrendo una prospettiva diversa rispetto al modo occidentale di pensare il mondo, e che permettono di rivelare le invisibilità di un sistema che cerca di inquadrare questo fiume come luogo esclusivamente dedicato all’estrazione di risorse. Tuttavia la visibilità e l’invisibilità sono questioni di sguardo e dipendono dalla lente con cui ci equipaggiamo. Costruire la mia pratica artistica nel sud-est asiatico negli ultimi cinque anni mi ha messo nella condizione di avviare un processo di disidentificazione da una visione prettamente eurocentrica del mondo e sviluppare uno sguardo critico verso le strutture di rappresentazione occidentali. Nella mia ricerca artistica, mi interessa particolarmente il ruolo che queste tecniche visuali svolgono nel condizionare la nostra percezione del mondo, e come queste dinamiche di potere si continuino a manifestare tra passato, presente e futuro, mutando forma ma mantenendo gli stessi obiettivi.
Ho deciso così di porre le basi per lo sviluppo di una contro-mappa. Per realizzare la superficie ho seguito una tecnica di papermaking tradizionale del nord della Thailandia. La carta tradizionale thailandese è fatta a partire dalla corteccia dell’albero di Gelso. Attraverso una serie di processi raffinati, la corteccia viene trasformata per produrre una superficie di carta testurizzata e delicata, chiamata “kada saa”. Ho avuto l’opportunità di imparare i processi di produzione dietro a questa antica arte presso Farm Krada Saa, una fabbrica di carta tradizionale con base a Chiang Mai. A questo processo antico ho aggiunto un ulteriore livello di sperimentazione utilizzando una polpa fatta dalla combinazione di alga del Mekong e corteccia d’albero di gelso, un altro elemento naturale presente nel territorio fluviale.

Sperimentazione in studio d’artista, ©Pietro Lo Casto 2023, courtesy l’artista

Il risultato ha proposto una superficie che assomiglia alla realtà del fiume Mekong, nel senso che non può essere individuata in maniera semplice. La carta è stratificata, è sia limpida che torbida, è morbida ma allo stesso tempo ruvida. Contiene sedimenti e impurità, incorpora il passare del tempo. È umida e, come altri elementi naturali, l’umidità sfugge alla rappresentazione cartografica. Allo stesso tempo l’umidità distrugge le mappe cartacee ed elettroniche! (Neither on Land nor at Sea Module II)
Queste caratteristiche mi hanno permesso di introdurre un’anomalia nel processo di cartografia. Nella procedura di stampa la macchina si è scontrata con l’attrito di una superficie ruvida, umida e porosa, un resistere che la tecnologia non poteva calcolare. Nel processo di creazione ero particolarmente interessato a questo momento di attrito causato dalla materialità irregolare della carta di alghe, e dall’incapacità della stampante di riprodurre in maniera perfetta l’immagine desiderata. Spesso comprendiamo la tecnologia quando non funziona. L’attrito a volte ci permette di capire le strutture e le infrastrutture presenti che spesso tendono ad essere rese invisibili o arbitrarie. Questa divergenza si è trasformata in una strategia di resistenza alle tecniche di visualizzazioni dominanti. L’opera che ne è scaturita, una mappa umida, indefinibile, diventa un luogo di possibilità dove immaginare mondi alternativi al di là della visione totalizzante imposta dai sistemi di potere sull’ambiente.

Moist Map, carta artigianale a base di alghe, materiale d’archivio, stampa con taglio laser, 8×12 pollici, Art Worms, KMITL University Gallery, Bangkok, 2024, ©Pietro Lo Casto 2024, courtesy l’artista

 

 

 

 

 

 

 

Pietro Lo Casto  è un artista multidisciplinare formatosi tra l’Europa e l’Asia. Con un occhio attento al passato e al presente (futuro), la sua ricerca artistica mira a contribuire a una riflessione critica sul ruolo delle immagini nella formazione della nostra visione del mondo.

NOTE

1 Collettivo ART WORMs.
2 Con il generoso supporto della KMITL University Lat Krabang, Bangkok, la partecipazione degli studenti del corso di Media Arts KMITL, e l’aiuto logistico della Mekong School, Chiang Kong.

FONTI CITATE NEL TESTO

Awan, Nishat. “Atlas Otherwise: Navigating across impermeable surfaces and shaky grounds”, The Routledge Handbook of Architecture. Urban Space and Politics, vol. 2, 2023.
De Lagrée, Doudart, and Francis & Leon Garnier, Exploratory Expedition through Indochina, Hachette, 1885. Retrieved from the Library of Congress. https://www.loc.gov/item/2021666948/
Keay, John. Mad about the Mekong: Exploration and Empire in South – East Asia, HarperCollins Publishers, 2005.
“Laab Tao | Lao Spicy Algae Salad”, Saeng’s Kitchen, 7 February, 2024. https://www.saengskitchen.com/laorecipes/laabtao Accessed 8 March 2024.
Neither on Land nor at Sea Module II, “[collective sense making] in [plain planes] of [future sediments] just [moisture and nothing more].” Neither on Land nor at Sea Module II, Unidee Residencies, June 2023.
https://files.cargocollective.com/c1740649/Glossary_CollectiveSenseMaking_UNIDEE.pdf
Osborne, Milton E. The Mekong, Turbulent Past, Uncertain Future, Grove Press, 2000.
“Oxford University Plants”, Cladophora species. https://herbaria.plants.ox.ac.uk/bol/plants400/Profiles/CD/Cladophora  Accessed 9 March 2024.
Sangkhamanee, Jakkrit, Mekong Border Riverscape: Space and Identity Construction of the Lao Long- distance Boat Traders. VDM Verlag, 2009.